Sei qui: Notiziario AMEC Anno 2014 notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ - L'aspirina nella chirurgia non cardiaca

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notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ - L'aspirina nella chirurgia non cardiaca

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Indice
notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ
L’attivazione e l’inibizione piastrinica
Salienti notizie storiche dell’aspirina
Aspirina e sue proprietà antiarteriosclerotiche
Evidenze di merito sull’uso dell’aspirina nella prevenzione primaria e secondaria
Le sostanziali conclusioni 2014 sull’uso dell’aspirina nella prevenzione cardiovascolare
L'aspirina nella chirurgia non cardiaca
Tutte le pagine

L'aspirina nella chirurgia non cardiaca

L'infarto miocardico è in genere la più importante complicanza vascolare che occorre dopo un atto chirurgico non cardiaco. In tale condizione, in effetti, si associa l'attivazione piastrinica e un trombo può ostruire un vaso coronarico innescando il meccanismo dell’infarto miocardico perioperatorio. L’aspirina inibendo l'aggregazione piastrinica e, quindi la formazione del trombo, può, in effetti, prevenire questa complicanza vascolare.
            Inoltre, anche se vi è una forte evidenza che l'aspirina ostacola il tromboembolismo venoso dopo una chirurgia non cardiaca, i medici sogliono usare più comunemente la terapia anticoagulante per la sua prevenzione. Tuttavia, si stima che un terzo dei pazienti sottoposti a chirurgia non cardiaca e che sono a rischio di gravi complicanze vascolari in fase perioperatoria riceve l’aspirina. In questi stessi pazienti, comunque, si rileva una particolare variabilità nell'uso perioperatorio del farmaco, sia si tratti di casi già in trattamento da lungo termine e sia di prima somministrazione.
Degno di nota è anche l’evidenza che entro un anno di PCI (percutaneous coronary intervention) dal 5 al 16% dei pazienti sottoposti a chirurgia non cardiaca dimostra un rischio piuttosto elevato per i grandi eventi avversi cardiaci perioperatori. La gestione di tale condizione si basa, invero, sulle linee guida dell’AHA (American Heart Association) e dell’ACC (American College of Cardiology), ma, in effetti, poggia principalmente sul parere degli esperti, provvisto di basso livello di evidenza.
La clonidina, peraltro, bloccando il sistema nervoso simpatico, come i beta-bloccanti ma con un meccanismo differente, ha la proprietà anch’essa di ridurre il rischio d’infarto miocardico derivante dalla chirurgia non cardiaca.      Già Baigent C. dell’Oxford University, UK e collaboratori dell’Antithrombotic Trialists' (ATT) Collaboration in una metanalisi dei dati di grandi dimensioni, comprendente studi randomizzati con più di 110.000 pazienti senza indicazione di un intervento chirurgico, dimostravano che l'uso dell’aspirina preveniva l'infarto miocardico e i maggiori eventi cardiovascolari (Lancet. May 30, 2009; 373 (9678): 1849–1860).
Peraltro, il farmaco ad alte dosi non dimostrava di essere superiore nella prevenzione delle complicanze vascolari rispetto alle basse dosi, ma si associava a una maggiore incidenza di effetti collaterali nocivi.
            P.J. Devereaux della McMaster University, Hamilton, ON, the Department of Medicine, London e collaboratori nell'incertezza sui rischi e benefici dell'aspirina in fase perioperatoria hanno condotto lo studio POISE-2 (PeriOperative ISchemic Evaluation-2). Tutto ciò condizionato dal fatto che pochi trattamenti erano stati testati per prevenire i problemi di cuore al momento dell'intervento chirurgico (N Engl J Med 2014;370:1494-503).

            Dati incoraggianti suggerivano, in effetti, che le basse dosi di acido acetil-salicilico (ASA) e di clonidina, somministrati separatamente per un breve periodo prima e dopo gli interventi chirurgici importanti, potevano prevenire i gravi problemi cardiaci. Il Trial POISE-2 è stato un grande studio internazionale per verificare se ASA e la clonidina potevano prevenire per l’appunto, rispetto al placebo, gli attacchi di cuore e le morti per problemi cardiaci in tutto il tempo di un intervento chirurgico.
Gli Autori randomizzavano, così, 10.010 pazienti a trattamento con aspirina o con clonidina vs placebo in procinto di essere sottoposti a chirurgia non cardiaca e a rischio di complicanze vascolari. Di tutti quanti i soggetti 5.628 non erano in trattamento con il farmaco prima dello studio, mentre 4.382 già lo assumevano. Il primo gruppo iniziava l’aspirina alla dose di 200 mg o il placebo appena prima dell'intervento e proseguiva in tal modo ogni giorno e per trenta alla dose di 100 mg. Il secondo gruppo proseguiva l’aspirina per sette giorni, dopo i quali riprendeva il normale regime. L'esito primario era un composito di morte o d’infarto non fatale a trenta giorni.
Nel gruppo con aspirina l'esito primario avveniva in 351 dei 4.998 pazienti (il 7.0%), nel gruppo placebo, invece, in 355 dei 5012 (il 7,1%) con hazard ratio di 0,99. L’intervallo di confidenza (IC) 95% era 0,86-1,15 e il P 0.92. Nel gruppo con aspirina, però, il sanguinamento maggiore era più comune rispetto al gruppo placebo (230 pazienti [il 4,6%] vs 188 [3,8%]; hazard ratio= 1.23; IC 95%= 1.01, a 1.49; P = 0.04). Peraltro, il risultato primario nei gruppi era simile ai secondari.
            In conclusione, la somministrazione dell’aspirina prima dell'intervento chirurgico e in tutto il periodo precoce postoperatorio non dimostrava effetti significativi sul tasso di un composito di morte o d’infarto miocardico non fatale, ma aumentava il rischio di un sanguinamento maggiore.
            Per loro conto Marcin Wasowicz dell’University of Toronto ON, Canada e collaboratori hanno valutato la possibile riduzione degli eventi avversi cardiaci nei pazienti sottoposti a chirurgia non cardiaca con la terapia antiaggregante (Circulation 2014; 130: A18745).
Gli Autori notavano, in effetti, che, nonostante le raccomandazioni dell’ACC / AHA nei riguardi dell’ATP (antiplatelet therapy), l'incidenza dei MACE (major cardiovascular events) perioperatori era alta. L'obiettivo dello studio multicentrico e prospettico di coorte degli Autori era, quindi, quello di determinare se l’APT continuata per tutto il periodo perioperatorio potesse diminuire l'incidenza dell’infarto miocardico in questa popolazione. Altro obiettivo era di determinare il meccanismo dei MACE nei pazienti in fase post PCI, sottoposti a NCS (non-cardiac surgery).
L’ipotesi in discussione era, pertanto, se esistesse in questa popolazione di pazienti un'associazione tra l’inibizione piastrinica inadeguata e l'incidenza dei MACE.
Gli Autori hanno, così, esaminato 201 pazienti in attesa d’intervento elettivo chirurgico non cardiaco e che avevano in precedenza ricevuto uno stent durante un PCI.
L'esito primario era costituito dagli eventi cardiaci avversi e comprendeva l'infarto miocardico, la trombosi dello stent, la necessità di rivascolarizzazione, la morte cardiaca improvvisa e l’ictus. Il sanguinamento maggiore era annoverato come un risultato secondario.
Le covariate dei loro modelli includevano i fattori noti per contribuire alle problematicità perioperatorie di cuore, come il tempo tra il PCI e il successivo intervento chirurgico, il tipo di stent (di metallo non rivestito da alcuna sostanza o medicato con capacità di rilascio di un farmaco), l’indice di rischio cardiaco rivisitato e l'urgenza di un intervento chirurgico.
Dei 201 pazienti, quarantadue sperimentavano un evento avverso e, quindi, questa incidenza del 21% era ancora molto elevata, anche se si erano seguite le linee guida ACC / AHA. In particolare undici pazienti (5%) presentavano l’elevazione isolata della troponina. Inoltre, la sede dell’infarto ricorreva frequentemente nella zona di posizionamento dello stent (71%). I pazienti sottoposti ad ASA con cinque giorni di chirurgia avevano un’inibizione piastrinica migliore di quelli senza il farmaco. Non c'era alcuna differenza d’inibizione piastrinica tra i pazienti con infarto miocardico e quelli senza di esso. Diversi fattori erano, di poi, associati a un aumento dei MACE. Tra questi c’era il maggiore Revised Cardiac Risk Index e l’anemia pre e post-operatoria. Inoltre, trenta pazienti (15%) presentavano gravi complicanze emorragiche.    
            In conclusione, i risultati di questo studio indicavano che l'uso di ASA e la sua sospensione non si associavano a MACE nei pazienti post PCI sottoposti a NCS.



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