Sei qui: Notiziario AMEC Anno 2014 notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ - Salienti notizie storiche dell’aspirina

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notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ - Salienti notizie storiche dell’aspirina

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Indice
notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ
L’attivazione e l’inibizione piastrinica
Salienti notizie storiche dell’aspirina
Aspirina e sue proprietà antiarteriosclerotiche
Evidenze di merito sull’uso dell’aspirina nella prevenzione primaria e secondaria
Le sostanziali conclusioni 2014 sull’uso dell’aspirina nella prevenzione cardiovascolare
L'aspirina nella chirurgia non cardiaca
Tutte le pagine

Salienti notizie storiche dell’aspirina

L’aspirina, o acido acetilsalicilico, è una sostanza ben nota in tutto il mondo, usata per le sue proprietà di inibire l’aggregazione piastrinica, ma anche per mitigare l'infiammazione, il dolore e la febbre. Proprio per queste sue ultime proprietà costituisce il composto principale di una categoria di medicinali denominati FANS, ossia farmaci anti-infiammatori non steroidei.
Nel 1897 Felix Hoffmann sintetizzò ASA (acetylsalicylic acid) in una forma chimicamente più pura, stabile e appetibile e nel 1899 si ottenne la sua registrazione presso l'Ufficio Brevetti Imperiale a Berlino. Da allora, l’aspirina è stata riconosciuta efficace in un numero sempre più esteso di malattie e di disturbi. Oggi giorno essa è disponibile in oltre ottanta paesi e si stima che la sua annuale produzione globale sia di circa 50.000 tonnellate, corrispondenti a 100 miliardi di compresse di 500 mg. Questa sostanza, in effetti, è divenuta di largo consumo essendo efficace in numerose circostanze, ma essendo anche provvista di effetti collaterali indesiderati. Questi risultati rappresentano, invero, i suoi effetti pleiotropici che hanno convinto una buona parte dei medici a eleggerla farmaco di eccellenza, selezionandola per un kit di sopravvivenza. Pur tuttavia, la presenza spesso concomitante dei suoi effetti pleiotropici negativi non ha convinto le agenzie del farmaco a permetterne l’uso libero e incondizionato.

            Peraltro, l'aspirina pur essendo stata prodotta solo 110 anni fa è presente in forma naturale nelle piante, quali il salice e il mirto, come acido salicilico. Si ha notizia, in effetti, che sin da tempi più remoti fosse già in qualche modo utilizzata. Gli antichi Egizi, ad esempio, già nel 3000 aC usavano la corteccia di salice e di mirto per combattere il dolore e la febbre. Vi sono anche documentazioni d’uso nell’antica Mesopotamia e civiltà cinese. Ugualmente presso i greci e i romani intorno al trenta DC si consigliava l'uso della foglia del salice per ridurre l'infiammazione. Si ha notizia che Ippocrate (~ 460-377 aC) praticasse trattamenti del dolore, del mal di testa e delle febbri anche usando polvere a base di corteccia d'albero di salice. La Royal Society di Londra pubblicava il 25 aprile 1763 un articolo del reverendo Edward Stone: "An Account of the Success of the Bark of the Willow in the Cure of Agues ". Nella sua lettera il pastore descriveva la sua esperienza di sei anni sull'uso di un estratto della corteccia di salice per combattere la febbre, sottraendo ufficialmente dal folklore ciò che era stata per secoli una conoscenza propriamente popolare. In seguito nel 1826, gli italiani Brugnatelli e Fontana ottennero la salicina in forma impura e nel 1828 Johann Buchner, professore di farmacia dell’Università di Monaco, isolò una piccola quantità di sostanza gialla, formata da cristalli aghiformi e di gusto amaro, che chiamò salicina perché derivata dalla corteccia del salice.
Nel 1829 il chimico francese Henri Leroux migliorava la procedura d'estrazione ottenendo da 1,5 kg di corteccia di salice sino a trenta gr di sostanza utile e nel 1838 il chimico italiano Raffaele Piria otteneva l'acido salicilico purificato. La sintesi di questo prodotto trovò subito, però, scarsa applicazione per il cattivo gusto e i disturbi gastrici con vomito a seguito dell’ingestione. Si cercò, così, di neutralizzarne l’acidità e nel 1853 il chimico francese Charles Frederic Gerhardt tamponò l’acido salicilico naturale con il sodio, ottenendo il salicilato di sodio che trattato con la sostanza chimica del cloruro di acetile produsse l’acido acetilsalicilico.  In seguito nel 1899 il chimico tedesco Felix Hoffmann rispolverò la formula di Gerhardt e utilizzò il prodotto con buoni risultati per il padre che soffriva di artrite, convincendo la Bayer, dove lavorava, a mettere sul mercato il nuovo farmaco miracoloso. L’aspirina fu, così, brevettata il 6 marzo 1889 e venduta prima in polvere e poi dal 1915 in compresse.
Nel 1940 alcune osservazioni sui bambini, cui era stata data con una gomma da masticare per alleviare il dolore dopo una tonsillectomia, misero in evidenza un sanguinamento più consistente rispetto ai controlli. Fu Lawrence Craven, che lavorava come medico di medicina generale presso il Glendale Memorial Hospital in California, a notare quanto sopra.  Egli, in effetti, pensò che se l'aspirina avesse potuto causare il sanguinamento, avrebbe anche avuto la capacità di prevenire la coagulazione che causava gli attacchi di cuore. Condusse, quindi, studi clinici informali sull’aspirina per la prevenzione dell’infarto miocardico con risultati positivi e, di poi, portò alla sua raccomandazione per la prevenzione primaria cardiovascolare nei maschi di età compresa tra i quarantacinque e i sessantacinque anni. Questo dato portò i medici a proporre la sostanza come utile rimedio per la prevenzione degli attacchi di cuore e dell’ictus. Pur tuttavia, solo nel 1970, a seguito di studi adeguatamente controllati, iniziava la raccomandazione di prendere un'aspirina il giorno per prevenire gli eventi acuti delle malattie cardiache.

            In seguito, Sune K. Bergstrom, Bengt Samuelsson e John R. Vane, premi Nobel nel 1982 per la medicina per le loro scoperte sulle prostaglandine, dimostrarono anche che l'aspirina e i farmaci consimili inibivano la biosintesi di queste sostanze dall’acido arachidonico e che questo loro comportamento costituiva la base dei loro effetti analgesici, anti-infiammatori e antipiretici.

            In effetti, le descrizioni iniziali alla fine degli anni sessanta dell’inibizione piastrinica dell'aspirina si basavano sui test di emostasi e della funzione piastrinica, disponibili allora, come ad esempio il tempo di sanguinamento e l’aggregazione ottica indotta dall’ADP. In tale contesto l’aspirina era definita come debole agente antiaggregante, capace nei soggetti normali di provocare un lieve prolungamento del tempo di sanguinamento e un difetto emostatico minore. Pochi anni dopo, Smith e Willis dimostravano che l'aspirina era in grado di bloccare la produzione delle prostaglandine nelle piastrine umane e il gruppo di Samuelsson identificava il trombossano A2, il prostanoide biologicamente attivo, sintetizzato nelle piastrine attivate dall’acido arachidonico e bloccato dall’aspirina. A metà degli anni settanta, P. Majerus e collaboratori risolvevano il meccanismo di azione dell’aspirina a livello molecolare. Infatti, utilizzando proteine purificate da piastrine umane e aspirina radiomarcata nel residuo acetilico (3H-acetil aspirina), dimostravano che il farmaco, in pochi minuti e irreversibilmente, acetilava una frazione proteica specifica umana corrispondente alla cicloossigenasi (COX).
            Il ruolo dell'aspirina nel ridurre la mortalità e le recidive degli eventi cardiovascolari dopo infarto miocardico acuto era dimostrato per la prima volta nell’ISIS-2 (International Study of Infarct Survival 2) in cui 17.187 pazienti provenienti da 417 ospedali erano stati arruolati entro ventiquattro ore dopo l'insorgenza di sospetto infarto miocardico acuto e randomizzati con controllo placebo a ricevere:

  • un’infusione endovenosa di un’ora di 1,5 MU di streptochinasi,
  • un mese di 160 mg / die di aspirina rivestita e gastroprotetta,
  • entrambi i trattamenti,
  • nessuno dei due trattamenti.

Solo la streptochinasi e l’aspirina riducevano in cinque settimane in maniera altamente significativa la mortalità vascolare. Inoltre, la loro combinazione otteneva migliori risultati in maniera significativa (2p inferiori a 0,0001) e i loro effetti separati sembravano additivi sui decessi vascolari. C'era evidenza di beneficio da ciascun agente, anche per i pazienti trattati in ritardo dopo l'insorgenza del dolore. Pur tuttavia, la streptochinasi si associava con un eccesso di emorragie cerebrali e in altre sedi con necessità di trasfusioni. L’aspirina, dal suo canto, riduceva significativamente il reinfarto non fatale (1.0% vs 2.0%) e l’ictus non fatale (0.3% vs 0.6%) e non si associava a un aumento significativo di emorragia cerebrale o sanguinamenti con necessità trasfusionale. Un eccesso di reinfarto non fatale era riportato con la streptochinasi quando usata da sola, ma questo sembrava essere completamente non dovuto all'aggiunta dell’aspirina. Un eccesso di reinfarto non fatale era riportato con la streptochinasi quando usato da sola, mentre i casi assegnati alla combinazione di streptochinasi e aspirina avevano un numero significativamente minore di reinfarto (1,8% vs 2,9%), d’ictus (0,6% vs 1,1%) e di decessi (8,0% vs 13,2%) rispetto a quelli senza i farmaci in questione. Le differenze di mortalità vascolare e di tutte le cause nei bracci di studio con streptochinasi e aspirina restavano altamente significative (2p meno di 0,001 per ciascuno) dopo una disponibile media di follow-up di quindici mesi. (Lancet. 1988 Aug 13;2(8607):349-60)



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