Aspirina e sue proprietà antiarteriosclerotiche
L’aspirina è stata il primo agente antipiastrinico a essere valutato. Essa in una vasta gamma di pazienti ad alto rischio ha dimostrato, pur con frange ancora più ampie di miglioramento, di poter ridurre il rischio di morte vascolare.
Pur tuttavia, si stima ancor oggi che anche il 10-20% dei pazienti in cura con ASA presenti eventi vascolari ricorrenti nei cinque anni successivi alla loro prima manifestazione, in ragione del fatto che essa inibisce solo la sintesi di un agonista delle piastrine, il trombossano A2.
L'aspirina è molto efficace nel prevenire gli eventi ischemici nei soggetti con infarto miocardico acuto, ictus ischemico, o comunque con evidenza clinica di malattia cardiovascolare. Questi dati hanno costituito, in effetti, le basi delle linee guida basate sull'evidenza corrente. In queste popolazioni di pazienti, l'uso dell’aspirina si tradurrebbe, infatti, in una riduzione relativa del 10% della mortalità vascolare e del 20% di ogni serio evento vascolare con riduzione del rischio assoluto dell’1,5%. In realtà poi, il NNT per prevenire un decesso, un infarto miocardico o un ictus in soggetti con malattia cardiovascolare già stabilita è inferiore per l'aspirina rispetto ad altri farmaci provati, come le statine o gli ACE-inibitori. In sintesi, mentre è vero che la terapia con aspirina diminuisce gli eventi cardiovascolari, essa aumenta, però, anche il rischio di sanguinamento maggiore e d’ictus emorragico. Così che, per quanto riguarda la prevenzione secondaria, l'entità del beneficio supera gli effetti secondari dannosi, mentre nei pazienti senza evidenza clinica di malattie cardiovascolari il rapporto vantaggi/rischi come prevenzione primaria è meno chiaro.
Peraltro, l’aumento della dose di aspirina non ha permesso di conseguire risultati più importanti di quella minima indicata dalle linee guida. In effetti, la dose consigliata del farmaco è variabile, senza codifica di limiti ben dichiarati dalle stesse linee guida. Pur tuttavia, anche se alcuni sostengono dosi fino a 1500 mg, la maggior parte degli studiosi concorda nella somministrazione cronica di dosi dai settantacinque ai 325 mg/die.
Pignone M dell’University of North Carolina USA e collaboratori, ipotizzando proprio un uso dell’aspirina subottimale, hanno eseguito un sondaggio sugli statunitensi di età compresa dai quaranta anni e oltre (Am J Prev Med. 2007 May;32 (5):403-407).
Gli intervistati riferivano di somministrare il farmaco regolarmente per la prevenzione cardiovascolare e fornivano informazioni sui loro fattori di rischio, sulle discussioni con il loro medico riguardo alla terapia e sulle loro percezioni circa i rischi e i benefici osservati. I risultati del sondaggio erano, quindi, ponderati per essere rappresentativi della popolazione generale degli Stati Uniti e si eseguivano analisi bivariate e multivariate per comprendere i fattori associati con l'uso dell’aspirina.
Un totale di 1.299 adulti di età compresa tra quaranta anni o oltre completavano il sondaggio. L'età media era 55,9, il 53% era composto di donne, il 79% era costituito da bianchi, il 10% da afro-americani e il 9% da latinoamericani. Il 41% degli intervistati segnalava l'uso corrente e regolare dell’aspirina per la prevenzione cardiovascolare. Il fattore segnalato come più fortemente associato con l'uso del farmaco era una precedente conversazione sulla sostanza con un operatore sanitario (88% per l'uso dell’aspirina tra gli intervistati che riportavano tale discussione contro il 17% per chi non la richiamava; odds ratio= 36,6, IC 95%= 25,9-51,7).
In conclusione, l'uso dell’aspirina era basso anche tra i pazienti ad aumentato rischio e la comunicazione fornitore-paziente lo migliorava costituendo un obiettivo per gli interventi futuri.
Dal loro canto, Michael Kolber dell’University of Alberta in Edmonton e collaboratori hanno inteso determinare la prevalenza in prevenzione primaria o secondaria del consumo di ASA nei pazienti di almeno cinquanta anni di età o più anziani in Canada (Can Fam Physician 2013;59:55-61).
Gli obiettivi secondari includevano l'uso di ASA in rapporto all’età e al sesso, la percentuale di pazienti che iniziava la terapia su consiglio di un medico, gli eventi avversi consequenziali e la percezione soggettiva sui benefici e rischi.
Completavano il questionario 807 pazienti, il tasso di risposta era dello 89,1% e complessivamente il 39,8% dei pazienti riportava di assumere regolarmente ASA.
La prevenzione cardiovascolare era il motivo dell’uso nell’87,0% e nel 53,1% per la prevenzione primaria e per quella secondaria nel 46,9%. Nel caso della prevenzione primaria il 62,8% dei pazienti aveva preso ASA su consiglio del medico di famiglia. Peraltro, chi aveva seguito il trattamento giudicava i benefici superiori ai rischi. Chi non lo aveva preso era incerto sul profilo beneficio/rischio del farmaco.
Nei riguardi del sesso gli uomini assumevano per la prevenzione cardiovascolare ASA in una percentuale significativamente superiore rispetto alle donne (P <.001). C'era anche un'associazione significativa (P <.001) tra l’uso e l'età. Il gruppo di età dai settanta ai settantanove anni mostrava maggiori probabilità di utilizzo in prevenzione cardiovascolare, rispetto a quello dai cinquanta ai cinquantanove. Inoltre, la percentuale dei pazienti con ASA in prevenzione cardiovascolare secondaria era più elevata nei gruppi di età più avanzata.
L’uso del farmaco, comunque, in circa un quarto dei casi iniziava per primaria intenzione di prevenzione del paziente. Era, quindi, probabile che molti pazienti, a relativo basso rischio cardiovascolare, stessero prendendo ASA per la prevenzione cardiovascolare primaria, mentre molti che avrebbero potuto beneficiarne non lo facevano.
In conclusione, molti pazienti nella pratica della medicina di base assumevano ASA e più della metà per la prevenzione cardiovascolare primaria. Peraltro, i medici di famiglia sembravano avere un'influenza sulle decisioni dei pazienti. Ne derivava che l’aggiornamento professionale dei medici di famiglia e la loro istruzione nei meriti potevano contribuire a promuovere l'uso del farmaco a chi ne poteva trarre i massimi benefici.
Hisao Ogawa e collaboratori della Kumamoto University, Japan, hanno condotto il trial randomizzato “Japanese Primary Prevention of Atherosclerosis with Aspirin for Diabetes” (JPAD). Gli studiosi hanno arruolato con aspirina a 81 o 100 mg/die 2.539 pazienti diabetici di tipo 2 sino agli ottantacinque anni senza storia di malattia aterosclerotica, comprese le patologie strutturali o aritmiche, l’ictus o le altre malattie cerebrovascolari o vascolari periferiche, senza uso di altri farmaci antiaggreganti o antitrombotici (JAMA 2008; 300:2180-2181).
Nel corso di un follow-up medio di 4,37 anni, i 1.262 pazienti trattati con aspirina sperimentavano una differenza non significativa di sessantotto eventi aterosclerotici contro gli ottantasei dei 1.277 del gruppo di controllo senza il farmaco (5,4% vs 6,7%).
In conclusione, quindi, in questo studio di diabetici di tipo 2 l'aspirina a basso dosaggio, come prevenzione primaria, non dimostrava di ridurre il rischio degli eventi cardiovascolari.
Solo nel sottogruppo di analisi dei 1.363 pazienti di età oltre i sessantacinque anni, ma non nei più giovani, si rilevava con l’aspirina una significativa riduzione del rischio degli eventi aterosclerotici.
Belch J dell’University of Dundee e collaboratori hanno voluto, per loro conto, determinare se l'aspirina e la terapia antiossidante, da soli o combinati, fossero più efficaci del placebo nel ridurre lo sviluppo degli eventi cardiovascolari in pazienti con diabete mellito e con arteriopatia periferica asintomatica, svolgendo lo studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco Prevention of Progression of Arterial Disease and Diabetes (POPADAD) (BMJ 2008; DOI:10.1136/bmj.a1840).
Gli Autori non rilevavano alcuna prova di beneficio dell’aspirina per gli eventi e la mortalità cardiovascolare, per cui concludevano che la prescrizione del farmaco dovesse derivare solo dall’attenta valutazione del singolo paziente dopo aver bene considerato il bilancio dei vantaggi/danni attesi. Lo studio comprendeva 1.276 adulti, dai quaranta o più anni con diabete di tipo 1 o 2 e con indice di pressione caviglia/braccio di 0,99 o meno, senza malattia cardiovascolare sintomatica, arruolati in sedici centri ospedalieri della Scozia. L’aspirina in compresse da 100 mg/die era aggiunta all’antiossidante in capsule in 320 soggetti, al placebo in 318, mentre il placebo in compresse più l’antiossidante in capsule in 320 e infine il placebo in compresse più il placebo in capsule in 318. Non emergevano elementi di prova di qualsiasi interazione tra l'aspirina e l’antiossidante. Nel complesso, 116 dei 638 eventi primari si verificavano nei gruppi dell’aspirina, rispetto ai 117 dei 638 dei gruppi senza (18,2% contro 18,3%) (hazard ratio 0,98 (IC 95% 0,76-1,26).
In conclusione, questo studio non forniva, pertanto, elementi a sostegno dell'uso dell’aspirina o degli antiossidanti nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari e della mortalità nei diabetici oggetto dello studio.
Aruna D. Pradhan dell’Harvard Medical School, Boston, Massachusetts e collaboratori, sulle premesse che l’infiammazione, soprattutto nelle donne, risultava legata allo sviluppo del diabete di tipo 2 hanno svolto a titolo di prevenzione uno studio randomizzato con basse dosi di aspirina tra il 1992 e il 1995 in 19.326 donne di quarantacinque anni senza diabete clinico, arruolate dal Women's Health Study, con controllo con placebo (n = 19390) per un follow-up di 10.2 anni (Diabetes Care, 2009,32:3-8).
In conclusione, gli Autori non riscontravano alcuna differenza statisticamente significativa sull'incidenza del diabete di tipo 2 tra i due gruppi.
Seshasai SR della St George's University of London, England e collaboratori, proprio in ragione del poco chiaro netto beneficio dell’aspirina nella prevenzione della malattia cardiovascolare, hanno inteso valutare l'impatto e la sicurezza del farmaco sugli esiti vascolari e non vascolari in prevenzione primaria (Arch Intern Med. 2012 Feb 13;172 (3):209-16).
Gli Autori hanno, così, svolto una ricerca nella letteratura degli studi pubblicati fino al giugno 2011, includendo nove studi, randomizzati e controllati con placebo, con almeno 1.000 partecipanti, ciascuno provvisto anche delle relazioni sulle malattie cardiovascolari (CVD), dei risultati non vascolari, o della morte. I rischi vs benefici erano valutati confrontando le riduzioni del rischio di CVD con gli aumenti del sanguinamento.
Nel corso di una media (SD) di follow-up di 6,0 (2,1) anni erano coinvolti più di 100.000 partecipanti. Il trattamento con l’aspirina riduceva gli eventi cardiovascolari totali del 10% (OR, 0.90; IC 95%: 0,85-0,96; NNT (number needed to treat): 120). L’effetto maggiore si rilevava principalmente nell’infarto miocardico non fatale (OR: 0,80; IC 95%: 0,67-0,96; NNT: 162). Non c'era, peraltro, alcuna riduzione significativa di morte cardiovascolare (OR: 0.99; IC 95%: 0,85-1,15) o di mortalità per cancro (OR: 0.93; IC 95%: 0,84-1,03) né di aumentato rischio di eventi emorragici non banali (OR: 1,31; IC 95%: 1,14-1,50; NNH (number needed to harm): 73). Si osservava un’eterogeneità significativa per le malattie cardiache coronariche e per gli esiti di sanguinamento, che non potevano essere contabilizzati per le principali caratteristiche demografiche o dei partecipanti.
In conclusione, nonostante le importanti riduzioni dell’infarto miocardico non fatale, la profilassi con aspirina nelle persone senza precedente malattia cardiovascolare non portava a riduzioni di morte cardiovascolare o per cancro. Pertanto, gli Autori traevano il suggerimento che, poiché i benefici erano bilanciati da eventi di sanguinamento clinicamente importanti, l'uso dell’aspirina di routine non era giustificato per la prevenzione primaria e che le decisioni di trattamento dovevano essere considerate per singolo caso.