Evidenze di merito sull’uso dell’aspirina nella prevenzione primaria e secondaria
Gli studi dell’ATT (Antithrombotic Trialists' Collaboration Collaborative) hanno dimostrato che la terapia antipiastrinica a lungo termine con aspirina nei pazienti ad alto rischio, cioè già con malattia vascolare occlusiva, era molto efficace a prevenire e ridurre di circa un quarto il rischio annuale degli eventi vascolari gravi, come l’infarto miocardico e l’ictus non fatale, o la morte vascolare (BMJ. 2002;324:71–86).
Tale diminuzione corrispondeva a una riduzione assoluta di circa 10-20 per 1.000 nell'incidenza annuale degli eventi non fatali e a una più piccola, ma ancora definita, della morte vascolare. Contro questo beneficio, però, si registrava un incremento assoluto dei sanguinamenti gastrointestinali maggiori o, comunque, extracranici, ma in un ordine più piccolo di grandezza. Pertanto, i benefici della terapia antiaggregante in prevenzione secondaria dimostravano di superare notevolmente i rischi dei fenomeni avversi.
Per la prevenzione primaria, purtroppo, il saldo, rispetto alla prevenzione secondaria, era meno chiaro perché i vantaggi del trattamento offrivano generalmente un ordine di grandezza inferiore ai rischi.
Sempre l’Antithrombotic Trialists' (ATT) Collaboration ha in seguito voluto rivalutare i rischi e i benefici del trattamento con aspirina in prevenzione primaria e secondaria (Lancet. May 30, 2009; 373 (9678): 1849–1860).
Gli studiosi hanno, così, avviato da una parte una meta-analisi in prevenzione primaria degli eventi vascolari gravi, come l’infarto miocardico, l’ictus, o la morte vascolare, e dei sanguinamenti maggiori in sei studi comprendenti 95.000 individui a basso e medio rischio con 660.000 persone-anno e 3.554 eventi vascolari gravi. Dall’altra, hanno completato una metanalisi di sedici studi di prevenzione secondaria, comprendenti 17.000 individui a medio e alto rischio con 43.000 persone-anno e 3.306 eventi vascolari gravi. Hanno, quindi, confrontato a lungo termine, rispetto ai controlli, il trattamento con aspirina e hanno riportato l’analisi intention-to-treat dei primi eventi durante il periodo di trattamento programmato.
Negli studi di prevenzione primaria l'aspirina produceva una riduzione proporzionale del 12% dei gravi eventi vascolari (aspirina = 0·51% l'anno vs 0·57% dei controlli, p = 0·0001).
Il dato era dovuto principalmente alla riduzione di circa un quinto dell’infarto miocardico non fatale (0·18% l'anno vs 0·23%, p <0·0001).
L'effetto netto sull’ictus non era significativo (0·20% l'anno vs 0·21%, p = 0·4; ictus emorragico 0·04% vs 0·03%, p = 0 · 05; altre forme d’ictus 0·16% vs 0·18% l'anno, p = 0 · 08).
La mortalità vascolare non differiva significativamente (0·19% l'anno vs 0·19%, p = 0·7).
Il trattamento con aspirina aumentava, però, i sanguinamenti maggiori gastrointestinali ed extracranici (0·10% l'anno vs 0·07%, p <0·0001).
Negli studi di prevenzione secondaria, la somministrazione dell'aspirina produceva, invece, una maggiore riduzione assoluta degli eventi vascolari gravi (6·7% l'anno vs 8·2%, p <0,0001) con un aumento non significativo dell’ictus emorragico. Vi era, però, una riduzione di circa un quinto degli ictus totali (2·08% l'anno vs 2·54%, p = 0·002) e degli eventi coronarici (4·3% l'anno vs 5·3%, p <0·0001). Peraltro, in entrambi gli studi di prevenzione primaria e secondaria le riduzioni proporzionali in aggregato di tutti gli eventi vascolari gravi sembravano ricorressero in maniera simile sia negli uomini e sia nelle donne.
In conclusione, in prevenzione primaria e, quindi, senza malattia pregressa, l'aspirina, a differenza che in prevenzione secondaria, assumeva un valore netto incerto per la riduzione degli eventi occlusivi, secondo un bilancio non favorevole per l’aumento dei sanguinamenti maggiori.
Questa proprietà forniva, quindi, il valido supporto per le linee guida basate sull'evidenza corrente. Pur tuttavia, il NNT (number needed to treat) per prevenire un decesso, un infarto miocardico o un ictus nei soggetti con stabilita malattia cardiovascolare era inferiore per l'aspirina rispetto ad altri provati farmaci, come le statine o gli ACE-inibitori. Inoltre, era sempre bene ricordare che la lotta alle malattie cardiovascolari prevede come primo impegno quello di valutare attentamente in ogni persona i fattori di rischio cardiovascolare e di impegnarsi per modificarli convenientemente.
Teramoto T della Teikyo University School of Medicine, Tokyo, Japan e collaboratori, considerando che la prevenzione della malattia aterosclerotica era diventata una priorità di salute pubblica importante in Giappone a causa dell'invecchiamento della popolazione e dei cambiamenti nella dieta e nello stile di vita, hanno avviato l’JPPP (Japanese Primary Prevention Project), trial randomizzato multicentrico in aperto, a gruppi paralleli, per valutare la prevenzione primaria con aspirina a basso dosaggio nei pazienti giapponesi di età compresa tra i sessanta e gli ottantacinque anni con ipertensione, dislipidemia, o diabete mellito (Am Heart J. 2010 Mar;159 (3):361-369.e4).
Lo studio di coorte, seguito per una media di quattro anni, aveva come end point primario un composito di morte per cause cardiovascolari, tra cui l’IM (infarto miocardico) e l’ictus fatali e altre morte cardiovascolari, l’ictus (ischemico o emorragico) e l’IM non fatali. Endpoint secondari chiave includevano un composito di: morte cardiovascolare, ictus e infarto miocardico non fatali, attacco ischemico transitorio, angina pectoris o malattia arteriosclerotica, che richiedevano un intervento chirurgico o di altro tipo, ogni componente del punto finale primario, non cerebrovascolare e la morte non cardiovascolare, l’emorragia extracranica con necessità di trasfusione o di ospedalizzazione.
L’inizio dello studio era fissato per il marzo 2005 e la conclusione per il giugno 2007 con un totale di 14.466 pazienti assegnati in modo casuale a ricevere aspirina gastroprotetta a 100 mg / die, o senza aspirina. Alla randomizzazione, la coorte di studio aveva una media (SD) di età di 70,6 (6,2) anni. Le donne erano il 57,8%, lo 85,0% aveva l’ipertensione, il 71,7% aveva la dislipidemia e il 33,9% era affetto da diabete. Nella coorte di studio l’80,4% dei pazienti aveva tre o più fattori di rischio.
In conclusione, l'JPPP si dimostrava il più grande studio di prevenzione primaria con aspirina in una popolazione giapponese sull’indagine del bilancio beneficio/danni dell'aspirina in pazienti anziani con fattori di rischio multipli.
Jeffrey S. Berger della New York University School of Medicine e collaboratori, proprio nell’incertezza dei vantaggi di prevenzione degli eventi cardiovascolari per effetto della terapia con aspirina nei soggetti senza malattia cardiovascolare clinica in ragione del maggior rischio di sanguinamento, hanno compiuto una meta-analisi di studi clinici randomizzati nei meriti (Am Heart J. 2011;34 (3):115-124.e2).
Gli Autori hanno, così, incluso nove studi comprendenti 102.621 pazienti, di cui 52.145 assegnati all'aspirina e 50.476 al placebo / controllo.
Nel corso di un follow-up medio di 6,9 anni, l'aspirina si associava con una riduzione degli MCE (major cardiovascular events) con RR (risk ratio) di 0,90, IC 95%= 0,85-0,96, P <.001. Non si dimostrava alcuna riduzione significativa per l'infarto miocardico, per l'ictus ischemico o la mortalità per qualsiasi causa. L’aspirina risultava associata con l’ictus emorragico (RR 1,35, IC 95% 1,01-1,81, P = .04) e il sanguinamento maggiore (RR 1.62, IC 95%= 1,31-2,00, P <.001). Nella meta-regressione i benefici e i rischi di sanguinamento da aspirina erano indipendenti dal rischio cardiovascolare al basale, dalla terapia di base, dall'età, dal sesso e dalla dose del farmaco. Il NNT (number needed to treat) per prevenire un MCE in un follow-up medio di 6,9 anni era 253 (IC 95%= 163-568), compensato dal NNH di 261 (number needed to harm) per provocare un sanguinamento maggiore (IC 95%= 182 -476).
In conclusione, l'attuale insieme di prove forniva supporto solo modesto per un beneficio dell’aspirina nei pazienti senza malattia cardiovascolare clinica per il contrapporsi anche del suo rischio di danno. In effetti, per ogni 1.000 soggetti trattati per un periodo di cinque anni, l'aspirina avrebbe impedito 2.9 MCE ma causato 2.8 sanguinamenti maggiori.
Bartolucci AA dell’University of Alabama, Birmingham - USA e collaboratori, considerando che diverse metanalisi avevano cercato di determinazione l'efficacia dell’aspirina nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari, esaminavano nove studi randomizzati nei meriti (Am J Cardiol. 2011 Jun 15;107 (12):1796-801).
I trial erano per l’appunto il BMD (British Doctors' Trial), il PHS (Physicians' Health Study), il TPT (Thrombosis Prevention Trial), lo studio HOT (Hypertension Optimal Treatment), il PPP (Primary Prevention Project), lo WHS (Women's Health Study), l’AAAT (Aspirin for Asymptomatic Atherosclerosis Trial), la POPADAD (Prevention of Progression of Arterial Disease and Diabetes) e il JPAD (Japanese Primary Prevention of Atherosclerosis With Aspirin for Diabetes).
Quest’analisi era anche suggerita dalla considerazione che le malattie cardiovascolari, anche se prima causa di mortalità nel mondo sviluppato, potevano dimostrare un impatto eterogeneo da regione a regione del mondo. Pertanto, per gli Autori era importante capirne le tendenze dal punto di vista geografico e culturale.
Il campione combinato era composto di circa 90.000 soggetti divisi quasi equamente tra chi assumeva aspirina e chi non la prendeva o che assumeva il placebo. Una metanalisi di questi nove studi valutava sei esiti cardiovascolari finali e cioè: il totale della malattia coronarica, l’infarto miocardico non fatale, il totale degli eventi cardiovascolari, l’ictus, la mortalità cardiovascolare e tutte le cause di mortalità. Non era eseguito nessun aggiustamento covariato ed erano applicate le prove appropriate per effetto del trattamento, dell’eterogeneità e dei pregiudizi delle dimensioni dello studio. La metanalisi suggeriva la superiorità dell’aspirina per il totale degli eventi cardiovascolari e dell’infarto miocardico non fatale (p <0,05 per ciascuna) con risultati non significativi per la riduzione del rischio dell’ictus, della mortalità cardiovascolare e per qualsiasi causa. Non c'era evidenza di una distorsione statistica (p> 0,05).
In conclusione, in quest’ampio campione l'aspirina riduceva il rischio degli eventi cardiovascolari e dell’infarto miocardico non fatale, ma non c'erano differenze significative nell'incidenza dell’ictus, della malattia coronarica totale e della mortalità cardiovascolare e per tutte le cause.
Anuradha Lala con lo stesso gruppo di studio precedente, nel commento al risultato delle ricerche nei meriti, evidenziava proprio che dal 1988 al 2008 un totale di sei studi randomizzati aveva messo a confronto l’aspirina versus il placebo nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari (Cardiovasc Diagn Ther 2012;2 (2):169-172).
I trial avevano incluso pazienti senza malattia cardiovascolare clinica. Di questi il Physicians Health Study aveva dimostrato una riduzione significativa del 44% dell’infarto miocardico non fatale, guidando alla diffusa raccomandazione dell’aspirina nei pazienti senza malattia cardiovascolare clinica. Pur tuttavia, il farmaco non riusciva a mostrare un beneficio nella riduzione degli endpoint primari degli studi della mortalità cardiovascolare. In effetti, nessuno dei sei trial era stato in grado di dimostrare una riduzione dei loro rispettivi endpoint primari.
Una volta riuniti i dati di questi sei studi, si poteva dimostrare una modesta riduzione del 12% del rischio relativo in eventi avversi cardiovascolari maggiori con una riduzione significativa della mortalità per un abbassamento dello 0,06% del rischio assoluto. In aggiunta, nell’analisi globale specifica per sesso l’aspirina conferiva un significativo 12% e 14% di riduzione relativa e uno 0,3% e 0,4% di assoluta degli eventi cardiovascolari negli uomini e nelle donne rispettivamente.
Da notare che la maggior parte dei soggetti degli studi di prevenzione primaria era a basso rischio assoluto di eventi cardiovascolari e di sanguinamento maggiore. Al contrario negli studi di prevenzione secondaria il rischio di sanguinamento in assoluto era basso, ma quello di un evento cardiovascolare era molto alto. Così che, il rapporto tra benefici/rischi per l'aspirina era molto più favorevole in prevenzione secondaria.
Seshasai SR della St George's University of London, England e collaboratori, proprio per meglio chiarire il beneficio netto dell’aspirina nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, hanno voluto valutare la sua sicurezza e impatto nella prevenzione primaria (Arch Intern Med. 2012 Feb 13;172 (3):209-16).
Gli Autori hanno così svolto una ricerca bibliografica degli studi pubblicati fino al giugno 2011, includendo nove studi randomizzati e controllati con placebo con almeno 1.000 partecipanti ciascuno, con relazioni sulle malattie cardiovascolari e con i risultati non vascolari, o di morte.
Durante una media (SD) di follow-up di 6,0 (2,1) anni che aveva coinvolto più di 100.000 partecipanti, il trattamento con aspirina riduceva gli eventi cardiovascolari totali del 10% (OR, 0.90; IC 95%=85-0,96; NNT (number needed to treat) = 120), principalmente con effetto sull’infarto miocardico non fatale (OR, 0,80; IC 95%= 0,67-0,96; NNT= 162). Non c'era alcuna riduzione significativa della morte cardiovascolare (OR, 0.99; IC 95%= 0,85-1,15) o della mortalità per cancro (OR, 0.93; IC 95%= 0,84-1,03). Non era aumentato neanche il rischio degli eventi emorragici non banali (OR, 1,31; IC 95%= 1,14-1,50; NNT= 73). Si osservava un’eterogeneità significativa per gli esiti delle malattie cardiache coronariche e del sanguinamento di non possibile contabilizzazione per le principali demografiche o caratteristiche dei partecipanti.
In conclusione, nonostante le riduzioni importanti dell’infarto miocardico non fatale, la profilassi con aspirina nelle persone senza pregressa malattia cardiovascolare non offriva riduzioni della mortalità cardiovascolare o per cancro. Pertanto, gli Autori suggerivano che, dati gli importanti eventi di sanguinamento collaterali, l'uso di routine del farmaco non fosse giustificato in prevenzione primaria, relegando le decisioni di trattamento al singolo caso. I medici, quindi, dovevano continuare a impegnarsi in un dialogo continuo con i loro pazienti per discutere i potenziali rischi e benefici dell’aspirina. Peraltro, dovevano incoraggiare più concretamente altre misure, come la dieta, lo stile di vita sano e le altre terapie farmacologiche con dimostrato sostanziale beneficio nella prevenzione primaria, quali quelle con statine.
Sutcliffe P dell’University of Warwick, Coventry, UK e collaboratori, sempre per studiare il bilancio dei potenziali benefici dell’aspirina contro i possibili danni degli effetti collaterali, si sono proposti di individuare e rianalizzare dal settembre 2008 al 2012 gli studi randomizzati e controllati, le revisioni sistematiche e le metanalisi sull’argomento per riassumere l'evidenza scientifica corrente (Health Technol Assess. 2013 Sep;17 (43):1-253).
Gli Autori hanno, così, identificato ventisette documenti che incontravano i criteri d’inclusione nella loro analisi.
I vantaggi dell’aspirina erano compresi in una riduzione del 6% del rischio relativo (RR) per tutte le cause di mortalità [RR 0.94, IC (intervallo di confidenza) 95%= 0,88-1,00], del 10% degli eventi cardiovascolari maggiori (MCE) (RR 0.90, IC 95%= 0,85-0,96), del 15% del totale della malattia coronarica (CHD) (RR 0,85, IC 95%= 0,69-1,06). Gli odds ratio d’insieme segnalati per la mortalità totale del cancro erano compresi tra 0,76 (IC 95%= 0,66-0,88) e 0,93 (IC 95%= 0,84-1,03). L’inclusione del Women's Health Study cambiava le stime degli OR a 0,82 (IC 95%= 0,69-0,97). L’aspirina riduceva l’incidenza del cancro colorettale riportato (OR 0.66, IC 95%= 0,90-1,02). Tuttavia, includendo gli studi in cui l'aspirina era stata data a giorni alterni l’OR si alzava a 0.91 (IC 95%= 0,74-1,11). Peraltro, i benefici per il cancro apparivano circa cinque anni dopo dall'inizio del trattamento. Il calcolo degli effetti assoluti per 100.000 pazienti/anno di follow-up mostrava riduzioni che andavano da trentatré a quarantasei decessi per tutte le cause di mortalità, da sessanta a ottantaquattro per gli incidenti cardiovascolari maggiori e da quarantasette a sessantaquattro per le malattie coronariche. Vi era anche una possibile distrazione di trentaquattro morti per cancro del colon retto. L’aumento RR, segnalato nei riguardi degli eventi negativi derivanti dall'uso dell’aspirina, era per il 37% da sanguinamento gastrointestinale (RR= 1.37, IC 95%= 1,15-1,62), tra il 54% (RR= 1,54, IC 95%= 1,30-1,82) e il 62% (RR= 1.62, IC 95%= 1,31-2,00) per i sanguinamenti maggiori, e tra il 32% (RR= 1.32, IC 95%= 1,00-1,74) e il 38% (RR= 1,38, IC= 95% 1,01-1,82) per l'ictus emorragico. Le stime complessive degli RR di aumento del sanguinamento rimanevano, peraltro, stabili in tutti gli studi condotti per diversi decenni. Le stime dei tassi assoluti del danno da aspirina per 100.000 pazienti/anno di follow-up erano 99-178 per i sanguinamenti non banali, 46-49 per quelli maggiori, 68-117 per quelli gastrointestinali e 8-10 per l’ictus emorragico. L’analisi, rivolta a giudicare il rischio di sanguinamento secondo il sesso e nei soggetti con diabete, poggiava su basi non sufficientemente valide per trarre conclusioni definitive.
In conclusione, gli Autori ritenevano di aver accertato un giusto equilibrio tra i benefici e i rischi derivanti dall'uso regolare dell’aspirina in prevenzione primaria nella malattia cardiovascolare.