Sei qui: Notiziario AMEC Anno 2014 notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ - Le sostanziali conclusioni 2014 sull’uso dell’aspirina nella prevenzione cardiovascolare

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notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ - Le sostanziali conclusioni 2014 sull’uso dell’aspirina nella prevenzione cardiovascolare

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Indice
notiziario Dicembre 2014 N.11 ASPIRINA PRIMO AGENTE ANTIPIASTRINICO QUANDO, COME E PERCHÉ
L’attivazione e l’inibizione piastrinica
Salienti notizie storiche dell’aspirina
Aspirina e sue proprietà antiarteriosclerotiche
Evidenze di merito sull’uso dell’aspirina nella prevenzione primaria e secondaria
Le sostanziali conclusioni 2014 sull’uso dell’aspirina nella prevenzione cardiovascolare
L'aspirina nella chirurgia non cardiaca
Tutte le pagine

Le sostanziali conclusioni 2014 sull’uso dell’aspirina nella prevenzione cardiovascolare

In una sintesi finale si può confermare che nel 2002 il Preventive Services Task Force iniziava a raccomandare le basse dosi di aspirina come misura di prevenzione primaria nei pazienti ad alto rischio di sviluppo delle malattie cardiovascolari, definite come sindrome coronarica acuta o malattia vascolare cerebrale trombotica, quando i benefici dovevano superare i rischi. Pur tuttavia, questo programma è stato sempre più messo in discussione (Ann Intern Med 2009;150:396–404).
Difatti, c'è stata una forte evidenza che l'aspirina è utile solo per la prevenzione secondaria, quando i sintomi o i segni di malattia sono evidenti dopo un pregresso processo patologico. Al contrario, nessuno studio ha dimostrato che i benefici del farmaco superino i rischi per le persone senza malattia cardiovascolare. Dietro queste evidenze di mancanza di prove a sostegno della sua efficacia, la Food and Drug Administration ha, in effetti, negato due volte le richieste di approvazione dell’uso dell’aspirina per la prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari, comprendenti sia quelli cardiaci sia cerebrali. Inoltre, la ricerca in pazienti con equivalenti di rischio cardiovascolare, come il diabete, la malattia renale cronica, la vascolare periferica, ha dimostrato che i benefici dell’aspirina a basso dosaggio non superano i danni.
In effetti, molteplici studi e meta-analisi hanno ormai indicato che non vi è alcuna specifica popolazione in cui i benefici della terapia con aspirina a basso dosaggio per la prevenzione primaria siano superiori ai rischi.
            Il DOPPS (Dialysis Outcomes and Practice Patterns Study), un'indagine osservazionale con l’uso dell’aspirina sulla morbilità e mortalità cardiovascolare in 28.320 pazienti sottoposti a emodialisi, rilevava che tra tutti i pazienti con malattia renale cronica con e senza cardiovasculopatie, l'aspirina era associata a un ridotto rischio d’ictus trombotico ma con un aumento del rischio d’infarto miocardico e di eventi cardiaci. L'inclusione dei pazienti con nota malattia cardiovascolare faceva risultare un accertamento positivo d’ictus di difficile interpretazione (Am J Kidney Dis 2007;50: 602–11).
            La POPADAD (Prevention of Progression of Arterial Disease and Diabetes) esaminava gli effetti dell’aspirina e degli antiossidanti, da soli o in combinazione, tra 1.276 pazienti di età maggiore di quaranta anni con diabete e malattia asintomatica delle arterie periferiche, in assenza di malattia cardiovascolare. Dopo otto anni di follow-up, i ricercatori non riscontravano alcuna riduzione dell'incidenza d’infarto miocardico, d’ictus, o di morti per malattia cardiovascolare (BMJ 2008;337:a1840).
            Nell’JPAD (Japanese Primary Prevention of Atherosclerosis with Aspirin for Diabetes) 2.539 pazienti con diabete tipo 2 erano seguiti per quattro anni. Le basse dosi di aspirina non riducevano il rischio degli eventi cardiovascolari e, invece, potevano aver contribuito ai sanguinamenti maggiori gastrointestinali (JAMA 2008;300:2134–41).
            Nel 2009 l’ATTC (Antithrombotic Trialists' Collaboration) pubblicava una meta-analisi di confronto dell'uso di aspirina con controllo riguardante sei studi di prevenzione primaria, comprendenti 95.000 soggetti con basso e medio rischio complessivo, e sedici studi di prevenzione secondaria, con 17.000 soggetti ad alto e medio rischio complessivo (Lancet 2009; 373:1849–60).
Si rilevava una diminuzione dell’infarto miocardico non fatale nel gruppo trattato con aspirina in prevenzione primaria, ma anche un aumento degli eventi emorragici maggiori, sia intracranici e sia gastrointestinali. Tale dato faceva suggerire un’attenzione particolare nell'uso dell’aspirina per chiunque avesse avuto anche un moderato o alto rischio di malattia cardiovascolare.
            L’AAA (Aspirin for Asymptomatic Atherosclerosis) del 2010 era rivolto a soggetti senza malattia cardiovascolare. Questi pazienti avevano, però, un basso punteggio indice caviglia-braccio per cui avrebbero potuto trarre beneficio dalla terapia con aspirina a basso dosaggio. I ricercatori seguivano 3.350 casi per otto anni con assegnazione in modo casuale ad aspirina gastroprotetta o a placebo.
Non si evidenziava alcuna differenza significativa negli eventi vascolari trombotici tra i due gruppi. Tuttavia, si rilevava nel gruppo con aspirina un rischio ben più alto di una grave emorragia che richiedeva ospedalizzazione (JAMA 2010;303:841– 8).
            È così che nel 2010 ADA (American Diabetes Association) e AHA/ACC (American Heart Association/American College of Cardiology) cambiavano le loro linee guida sull'uso dell’aspirina per la prevenzione primaria. In effetti, ADA aveva in precedenza raccomandato l’aspirina quotidiana a basso dosaggio per tutti i pazienti con diabete di età superiore ai quaranta anni e con almeno un altro fattore di rischio, come l'ipertensione. La nuova raccomandazione affermava, invece, che le basse dosi di aspirina di 75-162 mg / die erano considerate per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari per i pazienti con diabete con un rischio maggiore del 10% a dieci anni, quando i benefici superavano i rischi. Ciò portava all’inclusione degli uomini di età superiore ai cinquanta anni e delle donne maggiori di sessanta con diabete e un altro fattore di rischio come l'ipertensione, il fumo, la dislipidemia, o la proteinuria. Pur tuttavia, gli studi non indicavano una singola popolazione in cui i benefici della prevenzione primaria superavano i rischi (Diabetes Care 2010;33:1395– 402).
            In tutto ciò si è ribadito che i PCP (Primary care physicians) hanno un ruolo centrale nella fornitura dei servizi di prevenzione basata sull'evidenza. Pertanto, devono tenere in debito conto le informazioni aggiornate nella loro pratica per migliorare i risultati clinici sui loro pazienti. Tuttavia, non si hanno verifiche sulla capacità e velocità di acquisizione delle nuove evidenze sul beneficio o meno dell’aspirina per la prevenzione primaria da parte dei PCP.
            Jennifer Hissett della Louisiana State University New Orleans e collaboratori, dibattendo ampiamente quanto in precedenza riportato, hanno condotto un'analisi secondaria delle EHR (electronic health record) di 131.050 individui, raccolte da trentatré pratiche di cure primarie in undici diverse organizzazioni cliniche di sei stati degli USA. (J Am Board Fam Med. 2014; 27 (1):78-86).
Gli Autori hanno, in effetti, avviato un'indagine per verificare se gli studi, le metanalisi pubblicate e il consequenziale cambiamento delle linee guida avessero avuto un effetto sulla prescrizione dell’aspirina nella pratica clinica dei PCP, membri dell’eNQUIRENet (Electronic Quality Improvement and Research Network), una ricerca di qualità di pratica clinica della rete nazionale elettronica.
I pazienti di ciascuna coorte, sottoposti a somministrazione con l'aspirina, soffrivano di una malattia cardiovascolare nota o presentavano un elevato rischio, come definito dai dati di diagnosi, demografici e clinici ed erano osservati in quattro periodi.


 
            Dal 2007 al 2011, l'uso dell’aspirina era aumentato per tutta la popolazione e per ogni singola diagnosi ad alto rischio. Nello stesso periodo era anche aumentata la percentuale della popolazione che aveva iniziato la terapia per la prevenzione primaria, entro un anno dalla diagnosi dei fattori di rischio cardiovascolari o di equivalenza di malattia. Inoltre, tra le persone con una nuova diagnosi di malattia cardiovascolare, l'uso dell’aspirina era aumentato costantemente nel corso del periodo dei quattro anni, indicando che i nuovi studi negativi sulla prevenzione primaria non avevano ottenuto alcun impatto.
            In conclusione, gli Autori consideravano che i medici di assistenza primaria, pur avendo un ruolo centrale nella fornitura dei servizi di prevenzione basati sull'evidenza, avrebbero dovuto integrare nella loro pratica le informazioni aggiornate per il miglioramento dei risultati clinici. Così che, pur con sempre nuove evidenze contro l'uso dell’aspirina per la prevenzione primaria, era sembrato difficile agli studiosi che, stando alle dimostrazioni pratiche del comportamento dei medici e dei pazienti, potessero cambiare le convinzioni circa l'efficacia e la sicurezza del farmaco.
         Ikeda Y della Waseda University, Tokyo, Japan e collaboratori, ribadendo che la prevenzione delle malattie cardiovascolari aterosclerotiche rappresentava una priorità di sanità pubblica importante in Giappone a causa dell’invecchiamento della popolazione, hanno voluto determinare se l'aspirina a basso dosaggio tutti i giorni potesse ridurre l'incidenza degli eventi cardiovascolari nei pazienti giapponesi anziani con fattori di rischio multipli (JAMA. 2014 Dec 17;312 (23):2510-20).

            Hanno, quindi, compiuto l’JPPP (Japanese Primary Prevention Project) con 14.464 pazienti dai sessanta agli ottantacinque anni con ipertensione, dislipidemia, o diabete mellito reclutati dai medici di base in 1.007 ambulatori in Giappone tra il marzo 2005 e il giugno 2007, seguiti fino a 6,5 anni, con ultimo follow-up nel maggio 2012. I pazienti erano randomizzati 1/1, in aggiunta ai farmaci in corso con aspirina gastroprotetta 100 mg / die o senza aspirina.
L’esito primario composito era rappresentato dalla morte per cause cardiovascolari, come l’infarto miocardico fatale e non, l’ictus e le altre cause cardiovascolari, l’ictus non fatale, ischemico o emorragico, o gli eventi cerebrovascolari non definiti. Gli esiti secondari includevano end point individuali.
Lo studio era interrotto precocemente dal comitato di monitoraggio per la verifica di probabile inutilità dei dati dopo un follow-up di 5,02 anni (range interquartile, 4,55-5,33). Sia nel gruppo con l'aspirina e sia in quello senza occorrevano cinquantasei eventi fatali. Gli ictus non fatali erano 114 nel gruppo aspirina e 108 in quello senza, gli infarti miocardici non fatali venti e trentotto, gli eventi cerebrovascolari indefiniti tre e cinque. Il tasso di eventi di esiti primari cumulativi a cinque anni non era significativamente differente tra i due gruppi, essendo con aspirina pari a 2,77% [IC 95%= 2,40% -3,20%] vs 2,96% [IC 95%= 2,58% -3,40%] senza il farmaco.  L’hazard ratio [HR] era 0.94 [IC 95%: 0,77-1,15] il P = .54. L'aspirina riduceva significativamente l'incidenza dell’infarto miocardico non fatale essendo 0.30 [IC 95%; 0,19-0,47] per l'aspirina vs 0.58 [IC 95%: 0,42-0,81] senza con HR= 0.53 [IC 95%: 0,31-0,91] e P = .02). Per l’attacco ischemico transitorio era 0,26 [IC 95%: 16-, 42] per l'aspirina vs 0.49 [IC 95%: 0,35-0,69] senza, HR, 0.57 [IC 95%: 32-, 99]; P = .04. Aumentava significativamente il rischio di emorragia extracranica con necessità di trasfusione o di ospedalizzazione 0.86 [IC 95%: 0,67-1,11] per l'aspirina vs 0.51 [IC 95%: 0,37-0,72] senza aspirina, HR, 1.85 [IC 95 %: 1,22-2,81]; P = .004).
            In conclusione, secondo gli Autori, l’aspirina a basso dosaggio una volta il giorno non riduceva in modo significativo il rischio del risultato composito di morte cardiovascolare, ictus e infarto miocardico non fatali tra i pazienti giapponesi di sessanta anni o più anziani con fattori di rischio aterosclerotici.
            Manling Xie dell’Huazhong University of Science & Technology, Wuhan, China e collaboratori hanno svolto una ricerca in letteratura sugli studi randomizzati e controllati che avessero confrontato gli effetti del farmaco con il placebo o con il controllo delle persone senza malattia cardiovascolare preesistente. Tutto ciò sempre per valutare il bilancio dei benefici e i rischi dell’aspirina in prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari e determinare se gli effetti potessero variare secondo il sesso e dello stato di diabete, (PLoS ONE (2014) 9 (10): e90286.).


 
            Erano ammessi quattordici studi comprensivi di 107.686 partecipanti. L’aspirina risultava associata con le riduzioni maggiori degli eventi cardiovascolari con una risk ratio pari a 0,90, intervallo di confidenza 95% a 0,85-0,95. Si rilevava anche una riduzione dell’infarto del miocardio (0,86; 0,75-0,93), dell’ictus ischemico (0,86; 0,75-0,98) e di tutte le cause di mortalità (0,94; 0,89-0,99). C’erano, però, con l'aspirina aumenti per l’ictus emorragico (1,34; 1,01-1,79) e per il sanguinamento maggiore (1,55; 1,35-1,78). Il NNT (number needed to treat) per prevenire un evento cardiovascolare maggiore in un follow-up medio di 6,8 anni era 284. In confronto, il NNH (numbers needed to harm) per provocare un sanguinamento maggiore era 299. Nell’analisi dei sottogruppi i risultati aggregati dimostravano una riduzione dell’infarto miocardico tra gli uomini (0,71; 0,59-0,85) e dell’ictus ischemico tra le donne (0,77; 0,63-0,93). L’uso dell’aspirina si associava anche con una riduzione (0,65; 0,51-0,82) dell’infarto miocardico tra gli uomini diabetici. Nell’analisi di metaregressione i risultati suggerivano che la terapia con aspirina si sarebbe potuta associare con una diminuzione dell’ictus tra le donne diabetiche e una diminuzione dell’infarto miocardico tra gli uomini diabetici. Peraltro, le riduzioni del rischio, raggiunte con le basse dosi di 75 mg / die, erano simili a quelli ottenute con le dosi più elevate, pari a 650 mg / die.
            In conclusione, l'uso dell’aspirina a basso dosaggio produceva effetti benefici per la prevenzione primaria della malattia cardiovascolare e la decisione in materia del regime da adottare si sarebbe dovuta effettuare sulla base individuale del paziente. Peraltro, gli effetti della terapia variavano in base al sesso e alla presenza del diabete.
            Jeffrey J VanWormer della Marshfield Clinic Research Foundation, Marshfield, WI, USA e collaboratori, proprio in considerazione che l'aspirina era comunemente utilizzata in prevenzione primaria della malattia cardiovascolare (CVD) negli Stati Uniti, hanno voluto esaminarne l'associazione d'uso regolare con i fattori demografici / clinici in un campione di popolazione di adulti senza indicazione clinica (Clinical Epidemiology 2014: 6 433–440).
Gli Autori notavano che, in contrasto con gli USA, l'aspirina per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari era meno seguita in Europa, dove i tassi dell’uso erano molto più bassi in conformità a differenti evidenze. In effetti, l’USPSTF (US Preventive Services Task Force) raccomandava correntemente l’aspirina per un gruppo selezionato di adulti senza malattia cardiovascolare in cui il rischio d’incidente d’infarto miocardico o d’ictus era alto e in cui le prospettive di cardioprotezione si ritenevano superiori ai rischi di emorragia gastrointestinale o intracranica. Queste linee guida USPSTF, comunque, non erano del tutto prive di riserva. In effetti, contro la richiesta dell'industria farmaceutica di ammettere apertamente l’aspirina per la prevenzione primaria cardiovascolare, la Food and Drug Administration aveva recentemente avvisato i consumatori contro la sua assunzione per tale scopo.
Gli Autori eseguivano, così un'analisi trasversale utilizzando i dati provenienti da individui della Marshfield Epidemiologic Study Area (WI, USA) del 2010-2012, di età compresa tra i trenta e i settantanove anni. S’inserivano nell’esame gli utenti con almeno una regolare somministrazione a giorni alterni. S’individuavano 16.922 persone senza indicazione clinica dell’aspirina per la prevenzione primaria. Di questi, il 19% era regolare utente del farmaco. Nel modello aggiustato finale i partecipanti che erano più anziani e di sesso maschile, che avevano vissuto nel nord del Wisconsin, che avevano avuto visite mediche più frequenti e che avevano un maggiore indice di massa corporea dimostravano probabilità significativamente più elevate nel consumo regolare del farmaco (P, 0,001 per tutti). La razza / etnia, l’assicurazione sanitaria, il fumo, la pressione arteriosa, i livelli dei lipidi avevano un'influenza d'uso trascurabile. Un'analisi di sensibilità trovava una significativa interazione tra l'età e il numero di visite mediche, come indicazione che l'uso sempre maggiore di aspirina nei gruppi di età più anziani corrispondeva a visite più frequenti presso il proprio fornitore.
            In conclusione, vi era evidenza del sovra utilizzo dell’aspirina in questa popolazione degli Stati Uniti senza malattia cardiovascolare. L'età avanzata e le visite più frequenti presso il fornitore erano, peraltro, i più forti predittivi dell’inadeguato uso. L'obesità era l'unico fattore clinico significativo, suggerendo in questo sottogruppo di pazienti un disallineamenti tra i benefici cardiovascolari percepiti e i rischi. Studi prospettici rivolti all’esame degli eventi cardiaci e di sanguinamento associati con l'uso regolare dell’aspirina tra campioni degli obesi senza malattia cardiovascolare erano indicati come necessari dagli Autori per perfezionare le linee guida cliniche in questo settore.
            Sigrun Halvorsen dell’Oslo University Hospital Ulleval, Norway e collaboratori hanno passato in rassegna le evidenze a favore e contro la terapia con aspirina in prevenzione primaria, sulla base dei dati fino allora accumulati, compresi quelli che riguardavano la protezione verso il cancro (J Am Coll Cardiol. 2014;64 (3):319-327).
Gli Autori hanno, così, espresso nel loro documento la posizione a riguardo dell’European Society of Cardiology Working Group on Thrombosis.
In effetti, erano stimolati dal fatto che, sebbene l'uso degli anticoagulanti orali, come gli antagonisti della vitamina K, fosse stato abbandonato nella prevenzione cardiovascolare primaria a causa della mancanza di un favorevole rapporto beneficio/rischio, le indicazioni per l'uso dell’aspirina continuavano a essere fonte di grande dibattito. Peraltro, le maggiori linee guida internazionali fornivano raccomandazioni in aperto conflitto tra loro.

            In attesa dei risultati dei diversi studi in corso, il documento sostiene, quindi, un approccio pragmatico per l’uso dell’aspirina a basso dosaggio nella prevenzione cardiovascolare primaria e ne consiglia l'uso nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, previsto per 100 persone/anno, senza aumentato rischio di sanguinamento e definito quale condizione con due o più eventi cardiovascolari maggiori, come morte, infarto miocardico, o ictus.
Il primo passo è una valutazione d’idoneità del paziente al trattamento con valutazione del rischio a dieci anni d’importanti eventi cardiovascolari, come morte, infarto miocardico e ictus, secondo le stime di rischio della popolazione locale. I pazienti eleggibili sono quelli con una stima di dieci anni del rischio superiore al 20%. I pazienti con un rischio a dieci anni tra il 10 e il 20% sono considerati come potenzialmente ammissibili e quelli con un rischio inferiore al 10% non eleggibili.
Il secondo passo è riservato alla valutazione della sicurezza nei pazienti idonei e potenzialmente ammissibili attraverso una storia di sanguinamento senza cause reversibili e l'uso concomitante di altri farmaci che ne aumentano il rischio.
            Pertanto, ai pazienti in assenza di tali condizioni e con un rischio maggiore del 20% si deve somministrare l’aspirina a basse dosi, mentre per quelli con un rischio tra il 10 e il 20% si deve riservare una discussione caso per caso, imperniata sulla storia familiare di cancro gastrointestinale, in particolare il cancro al colon, e i valori e le preferenze del paziente. Soprattutto per i pazienti motivati, l’aspirina a basso dosaggio si può prescrivere.
            Fiscella K  dell’University of Rochester School of Medicine and Dentistry, NY e collaboratori considerando che l’USPSTF (United States Preventive Services Task Force) aveva pubblicato le linee guida aggiornate nel 2009 sull'uso dell’aspirina per prevenire l’infarto del miocardio negli uomini e l’ictus nelle donne, hanno voluto esaminare l’entità delle raccomandazioni cliniche nei meriti (J Gen Intern Med 2014; DOI:10.1007/s11606-014-2985-8).


           
            I 3.439 partecipanti allo studio, dell’età di quaranta anni e oltre, erano arruolati dal NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey) 2011-2012.
Gli Autori determinavano l’eleggibilità per ognuno alla prevenzione della malattia cardiovascolare con l’aspirina in base ai fattori di rischio segnalati e valutati. Valutavano anche il rischio per gli uomini e per le donne, applicando i cutoff di rischio USPSTF per sesso ed età, relativo all’emorragia gastrointestinale.
Erano potenzialmente eleggibili per la prevenzione primaria cardiovascolare con aspirina l’87% degli uomini dai quarantacinque ai settantanove anni e il 16% delle donne dai cinquantacinque ai settantanove. Il tasso di raccomandazione clinica tra gli aventi diritto erano bassi, corrispondendo al 34% per gli uomini e al 42% per le donne. I valori più alti si registravano per i diabetici (63%), per il gruppo d’età dai sessantacinque ai settantanove anni (52%) e per quelli in cattive condizioni di salute (44%). Al contrario, i tassi di raccomandazione dell’aspirina erano pari al 76% per la prevenzione secondaria cardiovascolare. Dopo aver tenuto conto dei fattori del paziente, in particolare dell'età, l'ammissibilità per la prevenzione con l’aspirina non era significativamente associata con la ricezione della raccomandazione di un medico (AOR 0,99%; IC 0,7-1,4).


           
            In conclusione, nonostante la raccomandazione di tipo “A” dell’USPSTF per l’aspirina in prevenzione primaria della malattia cardiovascolare, la maggior parte degli uomini e delle donne che ne avrebbero potuto avere beneficio non ricordava di aver ottenuto un consiglio del proprio medico.
            In ultima analisi, allo stato attuale delle conoscenze si può affermare che molti studi hanno chiarito il ruolo dell'aspirina nella prevenzione cardiovascolare specificando i benefici e i danni derivanti dalla sua assunzione anche se a basse dosi. Pur tuttavia, la ricerca in questo campo continua e sarà interessante accedere ai risultati degli studi in corso, come l’ARRIVE, l’ASCEND, l’ASPREE e l’ACCEPT-D.



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