Recenti raccomandazioni per lo studio e il trattamento dell’ipertensione
Le evidenze accumulate sulla base dei numerosi risultati degli studi sulla diagnosi e il trattamento dell’ipertensione hanno convinto l’ESH (European Society of Hypertension) e l’ESC (European Society of Cardiology) a rilasciare congiuntamente le linee guida 2013 sull'ipertensione (Journal of Hypertension 2013, 31:1281–1357).
Giuseppe Mancia dell’University of Milano-Bicocca, Italy e collaboratori hanno dichiarato che esse rappresentano una continuazione delle precedenti del 2003 e nel 2007. Esse, oltre a offrire i nuovi dati epidemiologici in Europa, differiscono principalmente per:
- Rafforzamento del valore prognostico del HBPM (home blood pressure monitoring) e del suo ruolo importante per la diagnosi e la gestione della malattia, accanto all’ABPM (ambulatory blood pressure monitoring).
- Aggiornamento del significato prognostico della pressione durante il sonno notturno, dell’ipertensione da camice bianco, stimata intorno al 13% (range 9-16%) e pari a circa il 32% (range 25-46%) tra gli ipertesi.
- Aggiornamento del significato prognostico dell’ipertensione mascherata, la cui prevalenza negli studi basati sulla popolazione è stimata intorno al 13% (range 10-17%).
- Ripetizione dell’enfasi sull'integrazione della pressione arteriosa, sui fattori di rischio cardiovascolare, sul danno d'organo asintomatico e sulle complicazioni cliniche per la valutazione complessiva del rischio cardiovascolare.
- Aggiornamento del significato prognostico del danno d'organo asintomatico, compreso quello cardiaco, dei vasi sanguigni, dei reni, dell’occhio e del cervello.
- Riesame del rischio del sovrappeso e del target dell’indice di massa corporea nell’ipertensione.
- Ipertensione nei giovani.
- Inizio del trattamento antipertensivo per altri criteri basati sull’evidenza e l’assenza di trattamento farmacologico nella pressione arteriosa normale/alta.
- Obiettivi dei valori pressori nel trattamento, derivati dai maggiori criteri basati sull’evidenza e unificati per i pazienti a rischio cardiovascolare.
- Approccio libero alla monoterapia iniziale, senza alcuno scopo di classificazione.
- Schema riveduto per le combinazioni farmacologiche.
- Nuovi algoritmi terapeutici per il raggiungimento dell'obiettivo pressorio.
- Sezione estesa sulle strategie terapeutiche per le condizioni speciali.
- Raccomandazioni rivedute per il trattamento dell'ipertensione negli anziani.
- Trattamento farmacologico degli ottuagenari.
- Particolare attenzione e nuovi approcci terapeutici per l’ipertensione resistente
- Maggiore attenzione alla terapia sulla guida del danno d’organo asintomatico.
- Nuovi approcci per la gestione cronica degli ipertesi.
Come nelle precedenti linee guida del 2007, la malattia è classificata in quattro gruppi secondo i valori pressori:
- alta pressione sanguigna normale,
- ipertensione di grado 1,
- ipertensione di grado 2,
- ipertensione di grado 3.
È, comunque, riproposta la raccomandazione di verificare la presenza o l'assenza di altri fattori di rischio cardiovascolare o di danni d'organo / malattia, per adeguare più opportunamente le decisioni del trattamento.
Le nuove linee guida ripresentano le raccomandazioni sullo stile di vita per abbassare la pressione sanguigna e, in particolare, sull'assunzione del sale a circa cinque o sei gr/die, contro i 9 o 12 g usuali. Difatti, una così fatta riduzione può abbassare la pressione sanguigna sistolica di circa uno o 2 mm Hg nei normotesi e di quattro o 5 mm Hg negli ipertesi.
L'indice raccomandato di massa corporea ottimale è inferiore ai 25 kg/m2 e la circonferenza vita ai 102 cm negli uomini e agli ottantotto nelle donne. Il calo di peso di 5 kg è, infatti, in grado di ridurre la pressione sanguigna sistolica di ben quattro millimetri Hg, mentre negli ipertesi l’attività fisica di resistenza aerobica può ridurla di sette.
L’orientamento comune nel prendere decisioni sulle strategie del trattamento deve, comunque, basarsi sul livello complessivo del rischio cardiovascolare del paziente.
È necessario, quindi, un approccio olistico che possa comprendere la valutazione degli altri fattori di rischio cardiovascolare, i danni d'organo asintomatici, la presenza o l’assenza del diabete, della malattia cardiovascolare conclamata, o renale cronica.
La valutazione iniziale di un paziente con ipertensione deve confermare:
- la diagnosi della malattia,
- rilevare le cause di una possibile forma secondaria,
- valutare il rischio cardiovascolare,
- determinare il danno d’organo subclinico,
- stabilire le condizioni concomitanti.
Sono necessari, quindi:
- la misurazione della pressione arteriosa,
- l’anamnesi familiare e personale,
- l’esame fisico,
- le indagini di laboratorio,
- i test più particolari per alcuni pazienti, quando necessari.
Non bisogna dimenticare quanto sia frequente una storia familiare positiva negli ipertesi, la cui ereditabilità nella maggior parte degli studi è stimata tra il trentacinque e il 50%. In effetti, sono conosciute diverse rare forme monogeniche d’ipertensione, come quella da iperaldosteronismo sensibile ai glucocorticoidi e la sindrome di Liddle. In esse la mutazione di un singolo gene spiega pienamente la patogenesi della malattia, dettando la migliore modalità del trattamento. Come in precedenza detto, l'ipertensione essenziale è, invece, una malattia molto eterogenea, con eziologia multifattoriale. Diversi studi hanno indicato in proposito un totale di ventinove polimorfismi nucleotidici singoli, associati con la pressione sistolica e / o diastolica.
In questo periodo, con l’abbandono degli sfigmomanometri a mercurio, si utilizzano dispositivi semiautomatici ascoltatori o oscillometrici che devono essere validati in conformità ai protocolli standard, la cui accuratezza dovrebbe essere controllata periodicamente. Soprattutto in caso di possibile ipotensione ortostatica, come negli anziani e nei diabetici, è bene misurare la pressione arteriosa uno e tre minuti dopo l’assunzione della posizione eretta. Da notare che l’ipotensione ortostatica, definita come una riduzione della pressione arteriosa sistolica superiore a venti mmHg o della diastolica a dieci mmHg nel raggio di tre minuti dalla posizione eretta, ha dimostrato di aggravare la prognosi per eventi di mortalità e di malattie cardiovascolari. Se possibile, è meglio affidasi alla registrazione automatizzata di molteplici letture ambulatoriali con il paziente seduto in una stanza isolata. In tal modo, anche con minori informazioni generali si migliorerebbe la riproducibilità e si otterrebbero valori più vicini a quelli giornalieri dell’ABPM o del HBPM. Pur tuttavia, le misurazioni della pressione arteriosa devono essere sempre associate con quelle della frequenza cardiaca, perché queste ultime a riposo predicono in modo indipendente gli eventi morbosi o fatali cardiovascolari in diverse condizioni, tra cui l'ipertensione.
Crescente è l’interesse nell’ipertensione per la misurazione della pressione arteriosa centrale. Essa, in effetti, rispetto alla misura brachiale, assume un valore predittivo per gli eventi cardiovascolari e per la valutazione dell'effetto differenziale dei farmaci. Tutto ciò in rapporto al fatto che la forma dell'onda della pressione è il risultato della forza in avanti dovuta alla contrazione ventricolare e di quella di rimbalzo delle onde di ritorno. Dovrebbe, quindi, essere analizzata a livello centrale nell’aorta ascendente, rappresentando il carico reale imposto sul cuore, sul cervello, sul rene e sulle grandi arterie. Le onde di ritorno provengono dalla periferia, generate nella progressiva ramificazione dei vasi, soprattutto a livello delle arteriole di resistenza più distali. Sta di fatto che nei vasi rigidi esse hanno un’origine precoce all'interno del ciclo cardiaco per effetto dell’aumento della velocità dell'onda del polso e del sangue che scorre più rapidamente lungo il vaso. Raggiungono, quindi, l'origine dell'aorta prima dell'incisura dicrota dell'onda del polso, sommandosi a quella di flusso che progredisce in senso anterogrado, contribuendo all'aumento del picco sistolico.
Il parametro che quantifica questo fenomeno è l'augmentation index, definito come la differenza tra il secondo e il primo dei picchi sistolici, espresso in percentuale rispetto alla pressione differenziale (sistolica meno diastolica), preferibilmente rettificata dalla frequenza cardiaca. A causa della sovrapposizione variabile dell’onda pressoria d’ingresso e di quella riflessa lungo l'albero arterioso, la sistolica aortica e quelle del polso possono essere diverse da quanto misurato convenzionalmente al braccio.
Pur tuttavia, le attuali linee guida in conformità alle precedenti, pur considerando interessante la misura centrale della pressione per un’analisi meccanicistica in fisiopatologia, farmacologia e in terapia, ribadiscono la necessità di ulteriori studi, prima di raccomandarla come uso clinico di routine. L'unica eccezione può essere riservata, in verità, all’ipertensione sistolica isolata del giovane in cui, a volte, la pressione sistolica a livello brachiale è aumentata in rapporto all’elevata amplificazione dell'onda di pressione centrale, mentre quella centrale è normale.
La misurazione accurata della pressione arteriosa, indipendentemente dalla tecnica impiegata, è requisito essenziale per la gestione appropriata dell’iperteso. Pur tuttavia, l’adozione delle differenti metodologie può permettere una maggiore accuratezza diagnostica e un migliore controllo terapeutico, soprattutto se si ricorre alle forme più adeguate alle specifiche condizioni del malato.
Le linee guida 2013, a tale riguardo, pongono l'accento sull’ABPM (ambulatory blood-pressure monitoring). Il principale vantaggio del monitoraggio della pressione sanguigna out-of-office è che fornisce un gran numero di misure fuori dall'ambiente medico. Inoltre, le misure out-of-office della pressione sanguigna, rispetto a quelle nello studio medico, sono più strettamente correlate al danno d'organo e agli eventi cardiovascolari. Così che, mentre la pressione sanguigna ambulatoriale si pone ancora come il gold standard per la diagnosi della malattia, con le linee guida 2013 le misurazioni out-of-office rientrano nel modello di stratificazione del rischio. I due metodi, quindi, non sono considerati ambivalenti, perché forniscono informazioni diverse e devono, quindi, essere studiati in via complementare.
L’ABPM è eseguita con un dispositivo portatile di misurazione della pressione, di solito sul braccio non dominante, per un periodo di 24-25 ore. Essa, così, offre le informazioni della pressione durante le attività quotidiane e di notte durante il sonno. Il paziente deve impegnarsi nelle normali attività, ma astenersi dall’esercizio fisico intenso. Deve, peraltro, al momento del gonfiaggio della cuffia smettere di muoversi e parlare e mantenere ancora il braccio con il bracciale a livello del cuore. Deve, inoltre, compilare un diario d’informazioni sui sintomi ed eventi che possono influenzare la pressione, oltre che sui tempi di assunzione dei farmaci, dei pasti e di alzata e addormentamento.
Il rapporto della pressione tra quella diurna e notturna è, comunque, un utile indicatore clinico.
La pressione, in effetti, diminuisce normalmente più del 10% di notte, rispetto ai valori diurni. È il così detto effetto dipping, secondo un rapporto inferiore a 0,9, che può definire i soggetti come dipper. Recentemente sono state proposte diverse categorie di tali soggetti:
- con assenza di dipping, cioè con aumento notturno pressorio e rapporto inferiore a 1.0,
- con dipping lieve e rapporto tra 0,9 e 1,0,
- con dipping e rapporto tra 0,8 e 0,9,
- con dipping estremo e rapporto inferiore a 0,8.
I motivi di assenza del dipping possono risiedere nei disturbi del sonno, nell’OSAS (Obstructive Sleep Apnea Syndrome), nell’obesità, nell’assunzione o nell’alta sensibilità al sale, nell’ipotensione ortostatica, nella disfunzione autonomica, nella malattia renale cronica, nella neuropatia diabetica e nella senilità.
Il rapporto tra la pressione notturna/diurna è un predittivo significativo di esito cardiovascolare clinico, ma aggiunge poche informazioni prognostiche oltre lo studio della pressione delle ventiquattro ore. Per quanto riguarda il fenomeno dipping, il dato più consistente è l’associazione inversa tra l’incidenza degli eventi cardiovascolari e il calo pressorio notturno. I dipper estremi, però, possono avere un aumentato rischio d’ictus.
La pressione arteriosa presso l’ambulatorio clinico, per effetto di una risposta di allarme, di ansia e / o di una risposta condizionata all’insolita situazione, è di solito superiore a quella misurata al di fuori di esso. La differenza tra le due misurazioni è di solito indicata come effetto da camice bianco. In effetti, però, l’ipertensione da camice bianco si deve riferire alla condizione in cui il rilievo si ripete in diverse visite, mentre è normale al di fuori dello studio clinico e nell’ABPM o nella HBPM. D’altro canto, la pressione può essere normale nell’ambiente clinico e anormalmente alta al di fuori di esso. In tal caso si tratta dell’ipertensione mascherata. Ovviamente, queste due condizioni sono riservate agli individui non trattati.
Rispetto ai normotesi veri, gli ipertesi da camice bianco hanno:
- una pressione out-of-office superiore,
- un danno d’organo asintomatico con frequenza particolare dell’ipertrofia ventricolare sinistra,
- una presenza quasi obbligata degli altri fattori di rischio metabolici,
- il rischio a lungo termine d’insorgenza del diabete,
- il rischio della progressione dell’ipertensione sostenuta.
Si raccomanda per tali motivi di confermare la diagnosi d’ipertensione da camice bianco entro 3-6 mesi e seguire costantemente questi pazienti.
Per quanto riguarda l’ipertensione mascherata bisogna, invece, considerare quanto diversi siano i fattori che possono alzare la pressione out-of-office, rispetto a quella in ambiente medico.
Essi sono:
- la più giovane età,
- il sesso maschile,
- il fumo,
- il consumo di alcool,
- l'attività fisica,
- l’ipertensione indotta dall’esercizio,
- l’ansia,
- lo stress del lavoro,
- l’obesità,
- il diabete,
- l’insufficienza renale cronica,
- la storia d’ipertensione familiare.
Peraltro, la sua prevalenza è maggiore quando la pressione clinica risiede nella gamma alta-normale. L’ipertensione mascherata, comunque, è frequentemente associata ad altri fattori di rischio, al danno d’organo subclinico, all’aumento del diabete e all’ipertensione sostenuta. Le evidenze derivate dai diversi studi hanno indicato che nell’ipertensione mascherata l'incidenza degli eventi cardiovascolari è circa due volte superiore a quella della normotensione vera e simile a quella dell’ipertensione sostenuta. Inoltre, nei diabetici con l’ipertensione mascherata è presente un aumentato rischio di nefropatia, soprattutto quando l’elevazione pressoria accade durante la notte.
In particolare, le nuove linee guida raccomandano di raggiungere livelli di pressione arteriosa diastolica nei diabetici inferiori agli 85 mm Hg. Per i pazienti sotto gli ottanta anni d’età, invece, il target di pressione sanguigna sistolica dovrebbe essere 140-150 mm Hg, ma in condizioni di buona salute possono mantenersi valori inferiori ai 140 mm Hg. Così pure, per gli ottuagenari è consigliabile valutare le capacità cognitive, oltre alla salute fisica, prima di raggiungere valori inferiori ai 140 mm Hg.
Le linee guida riconfermano anche l'importanza della terapia di combinazione, soprattutto nei casi ad alto rischio di eventi cardiovascolari o con una marcata ipertensione arteriosa basale. Ciò in ragione del fatto che l’attesa dell’efficacia di un solo farmaco potrebbe essere fatale. È consigliato, comunque, un solo farmaco nei pazienti a basso o moderato rischio di eventi cardiovascolari o con lieve ipertensione.
A tale proposito, si afferma che tutte le principali classi dei farmaci antipertensivi (diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori, antagonisti del recettore dell'angiotensina), in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari, hanno effetti simili. In altri termini, le cinque diverse classi dei farmaci sono tutte consigliate per il controllo dell'ipertensione e per ogni situazione.
In effetti, anche i beta-bloccanti, mal considerati da altri studiosi, hanno un loro ruolo.
Tra le combinazioni preferite sono riportati i diuretici tiazidici con i sartani, con i calcio-antagonisti o con gli ACE-inibitori, oppure i calcio-antagonisti con gli ARB o con gli ACE-inibitori.
Le nuove linee guida ESH / ESC sconsigliano nella pratica clinica il doppio blocco del sistema renina-angiotensina (RAS) con gli ARB, gli ACE-inibitori e gli inibitori diretti della renina. Tale combinazione farmacologica, difatti, è stata facilmente causa d’iperkaliemia, d’ipotensione e d’insufficienza renale. EMA (European Medicines Agency) ha, infatti, recentemente iniziato una propria revisione sulla sicurezza del doppio blocco del RAS in conformità a una meta-analisi 2013 del BMJ che ha dimostrato un aumento del rischio quando sartani e ACE-inibitori erano utilizzati insieme.
Per quanto riguarda la segnalazione del cancro con l’uso degli ARB, il comitato delle linee guida ha inequivocabilmente affermato che un tale rischio è stato smentito dagli studi.
Le linee guida hanno anche affrontato il nuovo aspetto della denervazione renale, in rapida crescita come terapia promettente nell'ipertensione resistente.
I dati attuali, però, non permettono una conclusione definitiva di sicurezza ed efficacia, soprattutto a lungo termine. Bisognerà, infatti, stabilire se le riduzioni della pressione arteriosa conseguiti con questa pratica si possano tradurre in riduzioni certe della morbilità e mortalità cardiovascolare.