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notiziario Marzo 2014 N.3 APPROCCIO EFFICACE PER IL CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA - Dati epidemiologici dell’ipertensione in Italia

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Indice
notiziario Marzo 2014 N.3 APPROCCIO EFFICACE PER IL CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA
Urgenza dell’identikit di un killer silenzioso: l’ipertensione arteriosa
Tappe storiche fondamentali dell’ipertensione
Dati epidemiologici dell’ipertensione arteriosa nel mondo
Dati epidemiologici dell’ipertensione in Italia
Recenti raccomandazioni per lo studio e il trattamento dell’ipertensione
Tutte le pagine

Dati epidemiologici dell’ipertensione in Italia

Chiara Donfrancesco della Cnesps-Iss, Italy e collaboratori con i risultati dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare (Oec)/Health Examination Survey (Hes) 2008-2012, relativi all’analisi del 91% dei campioni previsti, mostravano un quadro preoccupante dell’attuale stato di salute e dei fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione adulta italiana dai trentacinque ai settantanove anni.

In particolare, la pressione sistolica (PAS) media era negli uomini di 134 mmHg e di 129 nelle donne. I valori, peraltro sempre più alti negli uomini che nelle donne, erano più elevati al Nord e al Sud, rispetto al Centro. Analogo andamento dimostrava la pressione diastolica (PAD). Complessivamente più del 50% degli uomini e più del 40% delle donne erano ipertesi, discostandosi da questi valori con il 38% solo le donne dell’Italia centrale. Nei riguardi del trattamento antipertensivo, poi, gli uomini in cura risultavano in maggiore numero, anche per la prevalenza più sostenuta della malattia. Pur tuttavia, le donne ipertese non trattate erano con il 33% in numero inferiore, rispetto al 43% degli uomini ipertesi senza cura.

Peraltro, nel Sud gli uomini ipertesi in cura erano il 64%, contro il 36% dei non trattati, mentre al Centro e al Nord erano rispettivamente il 56% e il 50%.
Dai dati riportati colpiva l’eccessivo consumo di sale del 60% circa in più dei 5 grammi raccomandati dall’OMS come soglia massima. A tale proposito, bisogna ricordare l’associazione ampiamente documentata tra sale sodico e ipertensione per cui tale dato è stato riconosciuto, almeno in parte, come causa dell’elevata prevalenza dell’ipertensione. Di certo interesse era poi il rilievo della concomitante alta prevalenza dei fattori di rischio in determinate aree geografiche, a conferma della quasi obbligata associazione di essi nello stesso malato, tale da configurare il particolare quadro della sindrome metabolica.
Riguardo all’ultimo decennio, la proporzione delle persone incluse nella categoria normale e nella preipertensione con PAS maggiore o uguale ai 140 mmHg e PAD maggiore o uguale ai novanta mmHg e senza trattamento antiipertensivo era aumentata nelle donne, passando dal 53% del 1998 al 59% del 2008.  Negli uomini, invece, non si notavano variazioni significative, rimanendo al 45% in entrambe le rilevazioni. Inoltre, la prevalenza dei soggetti di entrambi i sessi, trattati in modo adeguato, nello stesso periodo era raddoppiata, passando dal 4 allo 11% negli uomini e dal 6 allo 11% nelle donne. Collateralmente era diminuita la percentuale degli ipertesi non trattati. Peraltro, i valori della pressione arteriosa e il trattamento dell’ipertensione erano migliorati negli ultimi dieci anni, indipendentemente dal livello d’istruzione in entrambi i sessi, ma in modo più marcato nelle donne che mostravano già nella prima indagine una condizione migliore.
Pur tuttavia, si tende a ritenere che l’abbassamento della pressione arteriosa, ottenuto oggi giorno tramite il miglioramento dello stile di vita e con il maggior seguito delle cure specifiche, possa essere responsabile della riduzione del 25% della mortalità cardiovascolare. Vi sono, comunque, dati che danno chiara indicazione come negli ultimi dieci anni la pressione media sia diminuita nella popolazione italiana di circa tre mmHg grazie alle azioni di prevenzione intraprese. Tutto ciò porterebbe a considerare una riduzione del 23% degli ictus attesi e del 17% delle malattie cardiovascolari con una prevenzione efficace nel nostro Paese di 40.000 ictus e di circa 60.000 infarti del miocardio.

È bene ricordare, a tal proposito, che la pressione arteriosa è ormai riconosciuta come il fattore di rischio più importante per l’ictus, per l’infarto del miocardio, per le arteriopatie periferiche, per l’insufficienza renale cronica e per la retinopatia. I suoi livelli permettono anche di predire la mortalità totale e la speranza di vita. Vi sono evidenze che indicano come variazioni di dieci mmHg in meno della pressione arteriosa sistolica, o di cinque mmHg della diastolica, possano ridurre del 40% il rischio d’ictus e del 20-25% quello dell’infarto e delle malattie coronariche. In definitiva, portando ai livelli più bassi la pressione arteriosa media nella popolazione si può moderare il rischio d’ictus, d’infarto del miocardio, di altre malattie cardiovascolari ma anche di patologie legate all’invecchiamento, come la demenza e la morte precoce. Non a caso, la pressione arteriosa sistolica rappresenta negli uomini di età dai trentacinque ai sessantanove anni il fattore di maggior peso nel calcolo del rischio cardiovascolare globale, quantificabile a dieci anni nelle carte del rischio.



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