Tappe storiche fondamentali dell’ipertensione
Tutti gli studi, definizioni, linee guida sull’ipertensione sono stati possibili grazie alle affascinanti scoperte, peraltro non molto lontane, di autorevoli scienziati.
Difatti, pur avendo l’uomo dimostrato interesse per il cuore e la circolazione sanguigna sin dai primordi della sua comparsa sulla terra, le dimostrazioni scientifiche nei riguardi di questo importante organo e dei suoi rapporti con i vasi sanguigni e la pressione arteriosa si sono ottenute solo dell’ultima metà del millennio appena passato e concentrate, soprattutto, nell’ultimo cinquantennio.
Gli studi scientifici sull’ipertensione iniziano proprio con lo sviluppo delle appropriate tecniche del suo rilievo. È ben noto il famoso esperimento, ormai storico, del reverendo Stephen Hales del 1733 con la dimostrazione diretta della pressione intrarteriosa su una giumenta.
Solo dopo quasi un secolo, però, si sviluppò l’interesse clinico per la pressione arteriosa con le ipotesi sulle cause del suo aumento patologico.
Pur tuttavia, fu necessaria la diffusione della tecnica pratica della misura non invasiva sull'uomo con gli sfigmografi per ottenere la possibilità dei controlli della pressione arteriosa senza limiti e la possibilità degli studi clinici per approfondire le sue caratteristiche come fattore di rischio cardiovascolare.
In effetti, solo a metà del secolo scorso si sono avviati i primi passi scientifici di epidemiologia e prevenzione cardiovascolare con l’attenzione principale al rilevamento delle persone a rischio nella popolazione e la progettazione di efficaci programmi di screening. Di fatto, il termine fattore di rischio apparve per la prima volta nel 1961, in una pubblicazione dal Framingham Study.
Si giunse, quindi alla considerazione ovvia che un prerequisito della prevenzione fosse, prima dello sviluppo della malattia manifesta, l'identificazione delle persone predisposte dai loro fattori al rischio. Questa conoscenza presupponeva, però, la necessità di studi di coorte prospettici, ottenuti da Keys in modo rivoluzionario nel tardo 1940. Da allora in poi, gli studi di coorte descrittivi, misurando l'incidenza delle malattie cardiovascolari, riconobbero in modo più ampio, più profondo e più sicuro i tre principali fattori di rischio:
- il colesterolo,
- la pressione sanguigna,
- il fumo.
La strategia dell’alto rischio era, peraltro, la logica conseguenza del successo nel rilevarne i vettori sulla base dei risultati degli studi prospettici. Le evidenze di alta sensibilità, specificità e potere predittivo erano ricercate nel tentativo di concentrare nell'ambito della più piccola parte possibile della popolazione il numero massimo d’individui destinati a sviluppare la malattia cardiovascolare.
Vale anche ricordare che più recentemente nel 2005 Thomas D. Giles della Tulane University School of Medicine, New Orleans, Louisiana, USA con tutto il comitato di esperti statunitensi del HWG (hypertension writing group), in rapporto alle evidenze di tutti gli studi, deniva l’ipertensione una patologia cardiovascolare a eziopatogenesi complessa con marker precoci che potevano precedere la comparsa degli alti valori pressori. Questo killer silenzioso nel 2009 era riproposto dallo stesso HWG come una sindrome cardiovascolare progressiva con sintomi e segni caratteristici (J Clin Hypertens (Greenwich). 2009;11:611–614). Gli alti valori pressori venivano, così, considerati come un segno, mentre l’ipertensione era intesa come la malattia completa di siopatologia e clinica. In conseguenza a tutto ciò, l’intervento terapeutico non doveva limitarsi alla sola riduzione dei valori pressori ma intervenire su tutti gli elementi costitutivi della sindrome, soprattutto sui fattori di rischio e sui marker del coinvolgimento cardiovascolare.
In definitiva, grazie alle scoperte di tutti questi e altri pionieri della scienza medica si sono potute definire la pressione sistolica, come punto più alto di tensione nei vasi, la diastolica, come punto più basso, la pulsatoria, come differenza tra la sistolica e la diastolica, la media, come pressione media nel sistema arterioso durante la contrazione e il rilasciamento ventricolare.
Si sono definiti anche alcuni indici importanti, come l’ABI (indice caviglia-braccio), utile per valutare il sospetto di arteriopatia ostruttiva periferica, per le condizioni di normalità e per il rilievo di particolari malattie.
Con la diffusione sempre più ampia della pratica clinica sono state evidenziate anche le variabilità della pressione sanguigna con l’età, le sue influenze fisiche e psicoemotive, la sua mutabilità durante il sonno, i suoi rapporti con il rene, il sistema nervoso autonomo, l’apparato endocrino e soprattutto le condizioni di normalità, di patologia e più precisamente di rischio cardiovascolare.
Più recentemente si è giunti al riconoscimento del valore prognostico e della gestione della pressione arteriosa alta. Peraltro, grazie alla diffusione del monitoraggio ambulatoriale si sono potute ottenere precisazioni anche su particolari condizioni come la:
- insolita variabilità pressoria,
- possibilità d’ipertensione da camice bianco,
- informazioni sui dubbi decisionali del trattamento,
- valutazione dell’ipertensione notturna,
- valutazione dell’ipertensione resistente ai farmaci,
- determinazione dell'efficacia del trattamento farmacologico nelle ventiquattro ore,
- diagnosi e trattamento dell'ipertensione in gravidanza,
- valutazione dell’ipotensione sintomatica.
Sostanziali, in particolare, sono stati gli studi che hanno portato a individuare con l’ABPM i soggetti non dipper durante il sonno.
Caratterizzanti di questa condizione, difatti, sono:
- variazioni circadiane della pressione sistolica e diastolica minori del 10%,
- ipertesi essenziali usualmente dipper,
- diuretici che convertono un non dipper in dipper.
I non dipper, in effetti, usualmente:
- sono casi d’ipertensione secondaria,
- presentano più frequentemente l’ipertrofia ventricolare sinistra,
- presentano più frequentemente il danno d’organo terminale,
- sono più responsivi alla restrizione del sale,
- sono diabetici.