Notizie storiche e meccanismo d’azione della metformina
La metformina (1,1-dimethylbiguanide hydrochloride) è un agente insulinosensibilizzante con potenti proprietà ipoglicemizzanti. La sua efficacia nel ridurre l'iperglicemia nel diabete di tipo 2 è simile a quella delle sulfoniluree, dei tiazolidinedioni e dell’insulina.
La storia della metformina, e quindi delle biguanidi, risalirebbe al medioevo europeo, quando la capraggine o galega officinalis, pianta della famiglia delle leguminose, amara e impiegata per la fertilizzazione dei terreni e per la pastura delle bestie, incominciò a utilizzarsi per contrastare la poliuria del diabete.
Negli anni ’20 dello scorso secolo, dalla guanidina, suo principio attivo, sono derivati i farmaci con proprietà antidiabetiche e negli anni ’50 la fenformina e la metformina, unico derivato prescritto nel periodo corrente in più di novanta paesi. La sostanza, trascurata per i seguenti due decenni, in cui la ricerca è stata focalizzata sull’insulina e su altri farmaci antidiabetici, nel 1940 riscuoteva nuovo interesse come ipoglicemizzante e nel 1957 veniva testata per la prima volta nel diabete. Nel 1975, di poi, è stata approvata per il trattamento del diabete in Europa e nel 1995 negli Stati Uniti con vasta introduzione nella pratica clinica per le dimostrate capacità come unico farmaco per la prevenzione delle complicanze cardiovascolari del diabete e dei tumori.
A tutto oggi, l’AACE / ACE (American College of Endocrinology/ American Association of Clinical Endocrinologists), l’ADA / EASD (American Diabetes Association/ European Association for the Study of Diabetes) e l’ACP (American College of Physicians), in assenza di controindicazioni, la raccomandano come terapia di prima linea per via orale per il diabete di tipo 2. Peraltro, è usata in combinazione in singole pillole con altri farmaci antidiabetici, come la glipizide e il sitagliptin. Dal 2010 la metformina e la glibenclamide sono gli unici due agenti antidiabetici orali inseriti nelle liste dei farmaci essenziali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Inoltre, la metformina è diventata anche un importante agente nel trattamento della sindrome dell'ovaio policistico e delle sue complicanze.
Da notare, peraltro, che la terapia di combinazione a base di metformina è spesso superiore a quella con un singolo agente.
Le sue proprietà ipoglicemizzanti sono attribuite principalmente alla soppressione della produzione epatica del glucosio, in particolare della gluconeogenesi epatica, e alla maggiore sensibilità dei tessuti periferici all'insulina. Sebbene l'esatto meccanismo di azione ipoglicemizzante non sia ancora del tutto chiarito, si conviene, comunque, che essa arresti probabilmente i processi ossidativi mitocondriali epatici e che corregga le alterazioni del metabolismo del calcio intracellulare nei tessuti insulinosensibili (fegato, muscolo scheletrico e adipociti) e nel tessuto cardiovascolare.
Oggi giorno in Europa è il secondo antidiabetico orale più prescritto, essendo usato nel 40% dei casi in monoterapia e nel rimanente sessanta in associazione con le sulfoniluree.
In definitiva, quindi, la metformina, originariamente venduta come glucofage, è, come già accennato, un antidiabetico orale della classe delle biguanidi. È il farmaco di prima scelta per il trattamento del diabete di tipo 2, ma attualmente è consigliato anche in soggetti in sovrappeso e obesi con funzione renale normale. Il suo uso nel diabete gestazionale è limitato per problemi di sicurezza. È utilizzato anche nel trattamento della sindrome dell'ovaio policistico ed è stato studiato per altre malattie in cui la resistenza all'insulina può costituire un fattore importante. A tuttora, è considerato l'unico antidiabetico con dimostrate proprietà di prevenire le complicanze cardiovascolari del diabete. Contribuisce a ridurre i livelli delle LDL colesterolo e dei trigliceridi e non provoca aumento del peso corporeo.
Può provocare disturbi gastrointestinali e anche ipoglicemia. Somministrato impropriamente e in eccesso, può essere causa di acidosi lattica.
La metformina rappresenta, in ultima analisi, il gold standard per la terapia di prima linea del diabete di tipo 2, specie se l’alternativa è una sulfonilurea. Il farmaco arresta la gluconeogenesi epatica e aumenta la risposta all'insulina, mentre, ad esempio, le sulfoniluree stimolano il pancreas a produrre maggiori quantità d’insulina. In tutto questo bisogna considerare anche le complicanze a lungo termine del diabete, che includono un aumento del rischio di problemi cardiovascolari come le malattie cardiache e l’ictus, riducendo, anche di dieci anni rispetto alle persone senza la malattia, l'aspettativa di vita delle persone. Già nel 1998 l’ampio studio clinico randomizzato UKPDS 34 (UK Prospective Diabetes Study: Lancet. 1998;352:854–865) riferiva che la metformina in combinazione con la dieta riduceva di circa un terzo la mortalità per tutte le cause nei pazienti in sovrappeso con diabete di tipo 2, rispetto al solo controllo dietetico. Tuttavia, lo studio segnalava anche un aumento della mortalità nei pazienti non in sovrappeso che avevano assunto metformina combinata alla sulfanilurea, rispetto a quelli con solo quest’ultima. Il risultato fu ritenuto non significativo e da allora in gran parte ignorato.
In rapporto a quanto premesso, Rémy Boussageon dell’Université Claude Bernard Lyon, France e collaboratori hanno effettuato una meta-analisi per rivalutare il rapporto rischio-beneficio della metformina nel trattamento dei pazienti con diabete di tipo 2 (PLoS Med. Apr 2012; 9(4): e1001204).
Gli Autori hanno, così, fatto una ricerca bibliografica cercando gli endpoint primari della mortalità per tutte le cause e di quella cardiovascolare. Gli endpoint secondari includevano tutti gli infarti miocardici, tutti gli ictus, l’insufficienza cardiaca congestizia, la malattia vascolare periferica, le amputazioni delle gambe e le complicanze microvascolari. Selezionavano, quindi, tredici studi randomizzati e controllati con 13.110 pazienti, di cui 9.560 con metformina e 3550 con trattamento convenzionale o placebo.
La metformina non influenzava significativamente i risultati principali della mortalità per tutte le cause con un rapporto di rischio (RR) = 0.99 (95% IC: 0,75-1,31) e della mortalità cardiovascolare con RR = 1.05 (IC 95%: 0,67-1,64). Anche gli esiti secondari non erano influenzati dal trattamento con metformina: tutti gli infarti miocardici con RR = 0.90 (IC 95%: 0,74-1,09), tutti gli ictus con RR = 0.76 (IC 95%: 0,51-1,14), l’insufficienza cardiaca con RR = 1,03 (95% IC: 0,67-1,59), la malattia vascolare periferica con RR = 0.90 (IC 95%: 0,46-1,78), le amputazioni delle gambe con RR = 1.04 (IC 95%: 0,44-2,44) e le complicanze microvascolari con RR = 0.83 (IC 95%: 0,59-1,17).
In conclusione, la metformina, anche se considerata il gold standard della terapia antidiabetica, non faceva rilevare un rapporto rischio / beneficio certo. Gli Autori affermavano, quindi, di non poter escludere una riduzione del 25% o un aumento del 31% della mortalità per tutte le cause. Così pure, dichiaravano di non poter escludere una riduzione del 33% o un aumento del 64% nella mortalità cardiovascolare.