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notiziario Aprile 2013 N.4 ALIMENTAZIONE E SALUTE: LA CARNE - Globalizzazione e alimentazione

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Indice
notiziario Aprile 2013 N.4 ALIMENTAZIONE E SALUTE: LA CARNE
Globalizzazione e alimentazione
Definizione e proprietà delle carni rosse
Carne rossa e malattie cardiovascolari
Carne rossa e cancro
Cuore a rischio con carni rosse e microflora intestinale impropria
La truffa globale della carne adulterata
Tutte le pagine

Globalizzazione e alimentazione

L’alimentazione per gli esseri viventi, e quindi anche per l'uomo, è un comportamento non solo istintivo ma anche stimolato, secondo una consuetudine irrinunciabile finalizzata alla sopravvivenza della specie e anche alla socializzazione, dal gusto e dal piacere. Come processo fisiologico vitale e secondo un percorso di adattamento stabilizzatosi nei tempi, necessario a superare all’occorrenza i mutamenti ambientali e anche climatici, si pone, in diretta relazione con essa, la digestione. A tale proposito, bisogna ricordare che il transito degli alimenti nel tratto gastrointestinale richiede dalle cinquantacinque alle settantadue ore e che per la maggior parte, in media cinquantasei ore, è legato al passaggio nel grosso intestino. Le modalità del consumo degli alimenti e del loro uso hanno costituito l’essenza della dieta. Questa variante comportamentale ha cambiato le sue caratteristiche in base alle necessità e alle contingenze della vita e dell’ambiente. Così l’uomo, da cacciatore e raccoglitore di bacche e tuberi, è progressivamente passato all'agricoltura e all'allevamento, variando anche radicalmente le sue abitudini di vita e i suoi comportamenti alimentari. Con lo sfruttamento più allargato dei prodotti agricoli della terra e di quelli sempre nuovi, importati dall’avanzamento del processo di globalizzazione e del mixing delle diverse culture, si sono gradualmente ottenuti prodotti alimentari sempre più nuovi, rimanendo, però, i cereali la base imprescindibile della nutrizione. Pur tuttavia, l'industria alimentare degli ultimi anni ha segnato uno sviluppo impressionante ed è ingigantita al punto da sconvolgere le abitudini dietetiche delle popolazioni, prima di tutto dei paesi economicamente più progrediti e, di seguito, di quelli in via di sviluppo.
I fast food in stile occidentale rappresentano oramai un fattore di modello alimentare che annuncia poveri esiti cardiometabolici, non solo nei paesi a sviluppo economico avanzato, ma più recentemente anche in quelli in via di sviluppo. In particolare, il cibo servito è ricco di calorie e presentato in porzioni allettanti sempre più grandi, generalmente costituite di carne semplice o trasformata. Sono presenti, peraltro, carboidrati altamente raffinati, alto contenuto di sodio e di colesterolo e un povero tenore di acidi grassi insaturi.  Così, il profilo nutrizionale ricalca da molto vicino la storica esemplificazione della dieta che è causa dell’epidemia della malattia cardiovascolare e del diabete di tipo 2. La globalizzazione sta amplificando e diffondendo la realtà dei fast-food in stile occidentale per cui questo modello alimentare sta diventando sempre più comune in tutte le aree del mondo. In particolare, con la rapida estensione della proliferazione dei ristoranti fast-food occidentalizzati, come il McDonald, il Burger King e il Kentucky Fried Chicken, è cresciuta tra gli esperti della salute pubblica la preoccupazione del diabete, dell'ipertensione, della dislipidemia e della sindrome metabolica, insieme alla maggiore incidenza della malattia coronarica.

In definitiva, la rapida globalizzazione ha comportato su larga scala nuove influenze sui modelli della salute dell’uomo. I molteplici cambiamenti su scala globale, di tipo economico, sociale, demografico, ambientali e climatici, si collegano sempre più alle forme epidemiche di alcune malattie croniche, come le dismetaboliche e cardiovascolari, ma anche alle variazioni dei rendimenti alimentari regionali, all'emergenza e alla riemergenza delle malattie infettive, alla diffusione del fumo di sigaretta e alla persistenza della disparità della salute.
Gli sforzi di prevenzione primaria, per abbattere i rischi per la salute determinati da queste influenze globali, costituiscono una sfida eccezionale. In primo luogo, difatti, bisognerebbe poter disporre di risorse e strategie supplementari per ridurre i rischi sanitari, che ormai si avviano a conclusioni apparentemente inevitabili, legati al cambiamento globale.
In effetti, sul piano alimentare si è superato il periodo del rilievo dei benefici derivanti dal boom della disponibilità. Oggi giorno bisogna misurarsi con le condizioni concernenti i numerosi problemi digestivi che ne sono derivati. Difatti, sono ormai noti e ben dimostrati gli effetti nocivi dell’eccesso alimentare, degli additivi chimici nei cibi e delle abitudini dietetiche, comunque non salutari. La dispepsia è la forma più diretta della difficoltà digestiva, come cattiva digestione responsabile dell’inappetenza, della pesantezza di stomaco, della stanchezza, della sonnolenza, delle eruttazioni, dell’alitosi, della flatulenza.
Bisogna considerare, comunque, che le interazioni, tra genetica e ambiente e tra natura e istruzione, rappresentano la base sia per la salute sia per la malattia. Di fatto, negli ultimi due decenni, utilizzando le tecniche della biologia molecolare, si è avuta dimostrazione di quanto i fattori genetici siano determinanti per la suscettibilità alle malattie. Per altro canto, quelli ambientali costituiscono la causa scatenante per gli individui geneticamente predisposti. Tale condizione ha portato alla nota esemplificazione della pistola che rappresenta nella patogenesi delle malattie la funzione genetica e del grilletto che ricopre il ruolo dell’ambiente e dei cattivi comportamenti. La nutrizione è un fattore ambientale di grande importanza. Utilizzando gli strumenti della biologia molecolare e della genetica, la ricerca ha potuto definire i meccanismi con cui i geni influenzano l'assorbimento dei nutrienti, il loro metabolismo e l'escrezione, la percezione del gusto e il grado di sazietà. Si sono delucidati anche i meccanismi attraverso i quali i nutrienti influenzano l'espressione genica. In tale contesto, bisogna, invero, considerare che nel corso degli ultimi 10.000 anni dall'inizio della rivoluzione agricola, a fronte degli importanti cambiamenti della nostra dieta, i nostri geni non sono cambiati. Difatti, il tasso di mutazione spontanea per il DNA nucleare è stimato dello 0,5% per ogni milione di anni. Pertanto, a carico dei nostri geni nel corso degli ultimi 10.000 anni c'è stato il tempo per un cambiamento molto scarso, forse dello 0,005%. Così che, i geni dell’uomo di oggi sono molto simili a quelli degli antenati del periodo paleolitico di 40.000 anni fa, momento in cui si è istituito il profilo genetico umano. Ciò nonostante, l’uomo vive oggi in un ambiente nutrizionale che è diverso da quello per il quale è stata selezionata la sua costituzione genetica. In effetti, gli studi sugli aspetti evolutivi della dieta indicano che hanno avuto luogo grandi cambiamenti nella nostra dieta, in particolare nei riguardi del tipo e della quantità degli acidi grassi essenziali e del contenuto degli antiossidanti negli alimenti.

Oggi le società industrializzate sono caratterizzate da un progressivo:
1) aumento dell'apporto energetico e diminuzione del suo dispendio,
2) aumento dei grassi saturi ω6 e trans con una diminuzione degli ω3,
3) diminuzione dei carboidrati complessi e delle fibre,
4) aumento dei cereali e diminuzione della frutta e verdura,
5) diminuzione delle proteine​​, degli antiossidanti e del calcio.
L'incremento degli acidi grassi trans è dannoso per la salute. Essi interferiscono con l'allungamento e la desaturazione di entrambi gli acidi grassi ω6 e ω3, diminuendo, così, ulteriormente per il metabolismo umano la disponibilità dell’acido arachidonico, eicosapentaenoico e docosaesaenoico.
Considerando che il disadattamento evolutivo porta alla restrizione riproduttiva, i rapidi cambiamenti nella nostra dieta, in particolare quelli degli ultimi 150 anni, hanno coperto sempre più il ruolo di potenti promotori delle malattie croniche, come l'aterosclerosi, l’ipertensione essenziale, l'obesità, il diabete, l'artrite, le malattie autoimmuni e molti tumori, in particolare il cancro della mammella, del colon e della prostata. Peraltro, in aggiunta alla dieta, lo stile di vita sedentario e l'esposizione alle sostanze nocive hanno interagito sempre più con i processi biochimici geneticamente controllati che portano alla malattia cronica.
D’altra parte, bisogna anche considerare che il metabolismo e il sistema immunitario sono tra loro collegati. L’infiammazione, difatti, attraverso composti con somiglianze strutturali tra i nutrienti e gli agenti patogeni, è alla base sia dell’ipernutrizione sia del processo infettivo. Peraltro, i macronutrienti alimentari, come i grassi e gli zuccheri, sono in grado di indurre l'infiammazione attraverso l'attivazione di un recettore immunitario innato, il TLR4 (Toll-like receptor 4). In effetti, specifici batteri intestinali sembrano servire come fonti dello LPS (lipopolysaccharide) attraverso la loro traslocazione in circolo a causa di una barriera microbica vulnerabile. Per aumento della permeabilità intestinale, quindi, svolgono un ruolo nell'infiammazione sistemica e nella progressione delle malattie metaboliche. In tale ordine di fatti, quindi, l’adozione a lungo termine di una dieta ad alto contenuto di grassi e di carni sembra tale da indurre l’infiammazione sistemica cronica di basso grado, l’endotossicità e le malattie metaboliche. Peraltro, recenti indagini sono anche a sostegno dell'ipotesi del coinvolgimento dei batteri intestinali nel metabolismo dell’ospite e delle potenzialità preventive e terapeutiche degli interventi con probiotici e prebiotici nelle malattie metaboliche.
Andrew O. Odegaard dell’University of Minnesota School of Public Health – USA e collaboratori, proprio per dimostrare che i Fast food in stile occidentale contribuiscono a instaurare un modello alimentare per la cattiva salute, estesosi con la globalizzazione anche ai paesi in via di sviluppo, hanno esaminato il rischio di diabete tipo 2 e di mortalità per malattia coronarica (CHD) nei cinesi di Singapore (Circulation. 2012 Jul 10;126(2):182-8).

Per questo hanno arruolato donne e uomini di età compresa tra i quarantacinque e i settantaquattro anni iscritti nel Singapore Chinese Health Study del 1993-1998. Hanno, così, incluso 52.584 partecipanti per la mortalità per CHD e hanno identificato 1.397 morti. D’altra parte hanno selezionato 43.176 partecipanti per il diabete tipo 2, identificando e convalidando 2.252 casi durante l'intervista di follow-up dal 1999 al 2004.

Gli hazard ratio per la mortalità di diabete e di CHD erano stimati con regolazione accurata per i fattori demografici, lo stile di vita e la dieta. Da notare che i cinesi di Singapore, con relativamente frequente assunzione di prodotti di fast food di stile occidentale per una frequenza uguale o superiore a due volte la settimana, dimostravano un aumento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 (HR = 1,27, IC 95% = 1,03-1,54) e la morte per malattia coronarica (HR = 1.56, 95% IC = 1,18-2,06), rispetto ai loro coetanei con scarsa o nessuna segnalazione. Queste associazioni non erano, peraltro, materialmente alterate dalle rettifiche per il modello alimentare globale, l'assunzione di energia e l'indice di massa corporea.
In conclusione, l'assunzione di cibo veloce in stile occidentale in una popolazione orientale si associava a un aumentato rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 e la mortalità per malattie cardiovascolari. Questi risultati suggerivano la necessità di ulteriore attenzione per un’acculturazione alimentare globale in quei paesi.
A Ramel dell’University Reykjavik, Iceland e collaboratori, con l'obiettivo di studiare gli effetti di un pasto convenzionale e di un fast-food sul metabolismo postprandiale, hanno arruolato dodici volontari sani normali e tredici in sovrappeso dai ventuno ai trentanove anni in uno studio randomizzato, cross-over. I partecipanti sono stati assegnati casualmente, dopo un digiuno notturno e con una settimana d’intervallo tra i giorni del test, al consumo di due pasti isocalorici costituiti dallo stesso tipo di nutrienti. Il tradizionale pasto fast-food consisteva in hamburger, pancetta, coca cola, il tutto con carico glicemico calcolato di 48,7. Il fast food non convenzionale era costituito da hamburger di salmone, pane di segale ricco di fibre, insalata con aceto, succo di arancia, per un carico glicemico di 46.0. Si analizzavano, quindi, per ottenere a diversi intervalli le concentrazioni di glucosio e insulina, campioni di sangue prima e dopo il pasto. In particolare, la glicemia si testava a 20, 40, 60 e 80 min e l’insulina a 1, 2 e 3 ore.
Gli aumenti postprandiali della glicemia e dell’insulinemia erano inferiori del 44% dopo il pasto non convenzionale (P <0.001 e P = 0.003, rispettivamente). Inoltre, la differenza tra i pasti nella risposta all'insulina, cioè nel pasto convenzionale superiore a quello no, correlava con l'indice di massa corporea (BMI) (r = 0.538, p = 0.006).
In conclusione, quando abbinati nell’apporto di energia dei nutrienti, il fast food non convenzionale poteva avere meno effetto sull'insulina e sul glucosio nel sangue dopo i pasti, rispetto a quello tradizionale. La differenza tra i pasti in risposta all'insulina correlava alla più alta BMI. Pertanto, secondo gli Autori, il miglioramento della qualità del cibo potrebbe essere d’aiuto contro gli aumenti postprandiali della glicemia e dell’insulinemia.



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