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notiziario Febbraio 2012 N°2 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA II° parte - Depressione, infiammazione e sistema immunitario

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Indice
notiziario Febbraio 2012 N°2 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA II° parte
IL MODELLO FISIOPATOLOGICO DELLA DEPRESSIONE
l'ipotesi aminergica della depressione
la base neurochimica della depressione
Depressione, infiammazione e sistema immunitario
Depressione, infiammazione e sistema immunitario
CLASSIFICAZIONE DELLA DEPRESSIONE
DIAGNOSI DELLA DEPRESSIONE
Il questionario per il paziente depresso PHQ-9
La diagnosi differenziale della depressione
Tutte le pagine

Vitamina “D” e depressione

La vitamina “D” è stata di recente implicata anche nella condizione cognitiva e nella salute e funzione mentale. Infatti, nei pazienti con i disturbi dell'umore, tra cui la depressione, si sono riconosciute le sue basse concentrazioni.  In particolare, in quasi 8.000 residenti non istituzionalizzati degli Stati Uniti dello studio NHANES III, la probabilità di essere affetti da depressione era significativamente più alta nel caso di carenza della vitamina. A tale riguardo, torna utile ricordare che i recettori della vitamina “D” sono presenti nel cervello e così pure gli enzimi coinvolti nella sua idrossilazione. Peraltro, possono anche inserirsi nella patogenesi della depressione i livelli elevati di PTH, conseguenti alla carenza vitaminica. Pur tuttavia, le evidenze degli studi sino ad ora compiuti a tale riguardo non hanno dato risultati univoci.
Difatti, per loro verso Zhao G del Center for Disease Control and Prevention, Atlanta e collaboratori, proprio per i dati contrastanti in tal senso, nel loro studio hanno voluto confrontare la 25 (OH) D e il PTH con la presenza di depressione tra gli adulti statunitensi (Br J Nutr. 2010 Dec;104(11):1696-702). Hanno, così, utilizzato un campione di 3.916 persone di venti o più anni di età, derivato dal National Health and Nutrition Examination Survey 2.005-6, valutando i sintomi depressivi con l’algoritmo diagnostico del Patient Health Questionnaire-9. Le associazioni tra 25 (OH) D e PTH nei malati depressi erano esplorate utilizzando i modelli di regressione logistica multivariata. Per tutti i casi la prevalenza aggiustata per età per la depressione da moderata a grave era del 5,3% (IC 95% 4.3, 6.5), per la maggiore 2.3% (IC 95% 1.7, 3.1) e per la minore di 3,8% (IC 95% 3.0, 4.6). Pur tuttavia, sebbene la prevalenza aggiustata per età e l’OR non aggiustato per una depressione moderata-grave o maggiore diminuisse in modo lineare con i quartili crescenti di 25 (OH) D (P <0.05), nessuna associazione rimaneva significativa dopo aggiustamento per i molteplici fattori di confondimento, quali le variabili demografiche, lo stile di vita e la coesistenza di una serie di condizioni croniche. Neanche la prevalenza aggiustata per età e l'OR, corretto o no per la depressione, differivano in modo significativo con i quartili del PTH. Così, gli autori concludevano che, in contrasto con alcuni dei risultati precedenti, i loro dati non evidenziavano tra gli adulti statunitensi associazioni significative tra le concentrazioni sieriche di 25 (OH) D e PTH con la presenza di depressione da moderata a grave, maggiore o minore.
Da loro canto, però, Robert Stewart, del King's College e Vasant Hirani, dell’University College London, sulle premesse delle poche indagini nelle persone anziane sui rapporti tra carenza di vitamina “D” e disturbi mentali, studiati, invece, ampiamente nei giovani adulti, hanno analizzato i dati di 2.070 persone dai sessantacinque anni e oltre, partecipanti al 2005 Health Survey for England, raccogliendo informazioni sui comportamenti di salute, sui dati socio-demografici e misurando i livelli di 25 (OH) D (Psychosom Med.2010;72:608-612). I sintomi depressivi sono stati valutati con la Geriatric Depression Scale. Nel complesso circa un quarto della coorte (25,2%) presentava sintomi depressivi con prevalenza del 22,6% nello 85,4% degli adulti con 25 (OH) D inferiori ai 30 ng / mL e del 25,8% nel 51,4% degli adulti con 25 (OH) D inferiori ai 20 ng / mL. La prevalenza della depressione era più alta (35,0%) nel 9,8% della coorte con 25 (OH) D inferiori ai 10 ng / mL (deficit clinico). Il tasso di prevalenza dei sintomi depressivi nei soggetti con deficit clinico di vitamina “D”, rispetto al resto del campione, era di 1,45 e la frazione attribuibile della popolazione, calcolata da questo dato, era del 4,2%. Nelle analisi di regressione logistica le associazioni tra i tre stati di carenza e la depressione, prima dell’aggiustamento per le covariate, erano significative. Dopo aggiustamento per l’età, il sesso, la classe sociale, la stagione, l’abitudine al fumo, l’indice di massa corporea, la lunga e limitante malattia e lo stato soggettivo della salute generale, solo l'associazione con la carenza clinica della vitamina rimaneva in rapporto significativo e indipendente (OR, 1,46; intervallo di confidenza 95 %, 1,02-2,08, p = .04). Il successivo aggiustamento per l'assunzione di alcol e la stratificazione della stagione dell’esame non alteravano consistentemente i risultati. Pertanto, nel sondaggio nazionale britannico la carenza di vitamina “D”, definita come livelli sierici di 25-idrossivitamina D (25 [OH] D) inferiori ai 10 ng / ml, era significativamente associata ai sintomi depressivi, indipendentemente da età, sesso, classe sociale, stato di salute fisica e periodo stagionale. Gli AA, quindi, concludevano che con la correzione del problema, si sarebbe potuta ottenere una misura efficace di sanità pubblica, riducendo in età avanzata la prevalenza della depressione.
A tale riguardo anche MinhTu T. Hoang dell’University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas e collaboratori hanno condotto uno studio cross-sezionale su 12.594 partecipanti, 4.005 donne e 8595 uomini tratti dal CCLS (Cooper Center Longitudinal Study) della Clinica Cooper dal 27 novembre 2006 al 4 ottobre 2010, di età media di 51,7 anni, di cui 1.563 con storia di depressione e 11.031 no. Gli autori hanno valutato i valori sierici della 25 (OH) D e la depressione, definita dal punteggio di dieci o più della CES-D (Center for Epidemiologic Studies Depression Scale). Nel campione totale i livelli di vitamina superiori si associavano a un rischio significativamente ridotto [odds ratio, 0,92 (intervallo di confidenza 95%, 0,87-0,97)] di depressione in corso, secondo i punteggi CES-D. Più evidente era il dato nei pazienti con una precedente storia di depressione [odds ratio, 0,90 (intervallo di confidenza 95%, 0,82-0,98)], mentre era non significativo in quelli con anamnesi negativa [odds ratio, 0,95 (intervallo di confidenza 95%, 0,89 -1,02)]. In conclusione, i bassi livelli di vitamina “D” si associavano a sintomi depressivi soprattutto nei casi con storia della malattia, suggerendo, come obiettivo importante, la valutazione dei livelli di vitamina nelle cure primarie dei pazienti con storia di depressione (Mayo Clin Proc. 2011;86(11):1050-1055).
Inoltre, Bertone-Johnson ER dell’University of Massachusetts e collaboratori hanno condotto un'analisi trasversale e prospettica tra l’assunzione alimentare di vitamina “D” e il rischio dei sintomi depressivi (Am J Clin Nutr. 2011 Oct;94(4):1104-12. Epub 2011 Aug 24). I ricercatori hanno, così, arruolato 81.189 donne dello studio osservazionale WHI (Women's Health Initiative), di età compresa tra i cinquanta e i settantanove anni.  Dopo controllo dell'età, dei vari fattori, tra cui l’attività fisica, le donne con un consumo totale di vitamina D / die di ≥ 800 UI avevano una prevalenza dei sintomi depressivi per un OR di 0,79 (IC 95%: 0,71, 0,89, P-trend <0,001), rispetto a quelle con un totale <100 UI. In un'analisi limitata alle donne senza evidenza di depressione al basale, una dose di ≥ 400 rispetto a <100 UI di vitamina D / die da fonti alimentari si associava a un 20% rischio inferiore di sintomi depressivi a tre anni (OR: 0,80, IC 95%: 0,67, 0,95, P = 0.001). I risultati inferiori nell’uso degli integratori di vitamina “D” erano, peraltro, coerenti, come quelli di un'analisi secondaria con l’uso dei farmaci antidepressivi. In conclusione, lo studio supporterebbe una potenziale associazione inversa tra vitamina “D” alimentare e i sintomi depressivi nelle donne in postmenopausa incoraggiando a stabilire un miglioramento dello stato vitaminico per la prevenzione e/o cura della depressione.
Infine Parker G e Brotchie H dell’University of New South Wales, facendo seguito al cresciuto interesse nutrizionale nei riguardi dell'insorgenza e trattamento dei disturbi dell'umore, hanno condotto una revisione della letteratura rilevante sulla possibile connessione tra insufficienza o carenza di vitamina “D” e depressione (Acta Psychiatr Scand 2011: 124: 243–249). I risultati hanno evidenziato che studi trasversali avevano identificato l’associazione non riuscendo, però, a chiarire se la carenza vitaminica fosse la causa o l’effetto della malattia. Pertanto, a seguito di tale analisi sembrerebbero ancora insufficienti le evidenze per una strategia di supplementazione vitaminica nei depressi, salvo che non si tratti di persone a rischio o in cui ne si siano dimostrati i bassi livelli nel siero.



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