Indice |
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Notiziario Maggio 2010 N°5 |
Definizione del sonno e suoi modelli antropologici |
L'attività del cervello durante il sonno |
Le funzioni del sonno |
Il ciclo del sonno |
Tutte le pagine |
LE FUNZIONI DEL SONNO
È stato evidenziato che se il sonno non fosse indispensabile, la biologia dovrebbe offrire l’esempio, non presente in natura, di:
- specie animali che non dormono per niente,
- animali che non hanno bisogno di recupero di sonno dopo essere stati svegli più a lungo del solito,
- animali senza conseguenze gravi a causa della mancanza di sonno.
Invece dobbiamo prendere atto che:
- il sonno è importante per tutti gli animali,
- il sonno non è un attributo speciale di ordine superiore, caratteristico della funzione umana,
- anche se necessario, non necessariamente deve corrispondere a grandi quantità,
- non v’è nessuna correlazione tra la quantità di sonno e le dimensioni degli animali, il loro livello di attività, la loro temperatura corporea.
Pur tuttavia, anche dopo i numerosi studi fino ad oggi effettuati, le teorie, proposte per spiegare la funzione del sonno, sono ancora incomplete. La teoria del doppio processo della sua regolazione si basa sul principio di una funzione sia restaurativa sia conservativa, considerando che il metabolismo generale e cerebrale, nello stato di attività, comportano alti consumi di energia con perdita di glicogeno e di ATP (adenosintrifosfato), cui si correla innalzamento della temperatura corporea. Nel sonno Non REM, invece, s’instaura una riduzione dei consumi, con reintegro di ATP e glicogeno e abbassamento della temperatura. Nel sonno REM, con maggiore complessità, i consumi metabolici aumentati non si associano, però, a crescite della temperatura.
Secondo una prima ipotesi, quindi, detta teoria del restauro, conosciuta anche come del recupero o della restituzione, il sonno è essenziale per il rilancio e il ripristino dei processi fisiologici, che mantengono il corpo e la mente sana e ben funzionante. In effetti, l’omeostasi si sgretola come stabilità dell'ambiente interno di un organismo nello stato di veglia e il sonno interviene come riparatore per ripristinarla.
In rapporto a tale teoria sono stati proposti tre meccanismi principali:
- la necessità di eliminare una sostanza esaurita, che si accumula nel corpo durante l'attività,
- la necessità di effettuare un processo essenziale di sintesi chimica, che è inefficace o impossibile durante la veglia,
- il bisogno di consentire il recupero di componenti o percorsi neurali, sfiancati durante la veglia.
Consequenziale a tali premesse ne deriva che la privazione del sonno deve produrre effetti nocivi, come peraltro sperimentato.
Ma quali e quanti sono gli squilibri interni e con quali modalità e mezzi il buon dormire ripristina l'equilibrio?
A tale quesito mancano ancora risposte esaurienti e scientificamente provate.
Questa teoria suggerisce, peraltro, che la fase NREM è importante per questo recupero fisico, organico, metabolico, mentre quella REM è fondamentale per quello delle funzioni mentali.
Da notare che il supporto a essa deriva da una dimostrazione scientifica, secondo la quale i periodi di aumento del sonno REM seguono ai periodi di privazione del sonno e d’intensa attività fisica. Peraltro, durante il sonno, aumenta anche il tasso di divisione cellulare e la sintesi delle proteine, a conferma della teoria stessa. Inoltre, il tempo totale di sonno aumenta durante le malattie e quello REM aumenta durante il recupero da lesione cerebrale, elettroshockterapia e sindrome da astinenza.
Confortano tale teoria gli studi di CM Shapiro e collaboratori del 1981, che hanno rilevato nei maratoneti un sonno di un’ora e mezzo più lungo del normale nelle due notti seguenti la gara di circa novantadue chilometri, con un allungamento del periodo SWS (Phys. Rev. B 24, 6661–6674-1981). Peraltro, i neonati trascorrono la maggior parte del loro tempo nel sonno REM. D’altro canto, J. A. Horne e A. Minard nel 1985 hanno dimostrato, come prova contraddittoria, che, quando i soggetti di studio erano sottoposti a un certo numero di compiti estenuanti, essi dormivano più velocemente, ma non più a lungo (Ergonomics. 1985 Mar;28(3):567–575).
In contrasto con la teoria di recupero, quella evolutiva, propugnta da Meddis R. (1979 - The evolution and function of sleep. In: D.A. Oakley and H.C. Plotkin (eds) Brain, Behaviour and Evolution, London: Methuen), conosciuta anche come la teoria adattativa del sonno, propone che esso si sia evoluto come una risposta di adattamento al ciclo giorno/notte, non come una risposta a qualche segnale interno fisiologico. Tale dato è legato direttamente alla sopravvivenza di Darwin della 'teoria del più forte'. Difatti, tutte le proprietà in nostro possesso costituiscono il risultato di ciò che è stato utile nel passato, per cui si dorme perché è utile per la nostra sopravvivenza o lo era un tempo. Essa suggerisce, difatti, che i periodi di attività e inattività si sono evoluti come strumento per conservare energia, quando la raccolta di cibo è stata completa o più difficile e, anche, per evitare il pericolo di predatori notturni o incidenti, rimanendo immobile. Pertanto, tutte le specie si sono adattate a dormire per i periodi in cui lo stato di veglia sarebbe più pericoloso. Il supporto a essa deriva dalla ricerca comparativa nelle diverse specie animali. Difatti, gli animali, fondamentalmente predatori, come orsi e leoni, dormono spesso tra le 12-15 ore ogni giorno. Invece, gli animali, che hanno molti predatori naturali, dimostrano solo brevi periodi di sonno, di solito sempre corrispondente a non più di quattro o cinque ore ogni giorno.
Quindi, è probabile che il sonno si sia evoluto per soddisfare, per molteplici necessità, una certa funzione primordiale, ancestrale. Di certo, confortano tale tesi:
- l'assenza in natura di specie animali che non dormono per niente,
- la necessità di sonno, come recupero di una condizione di veglia più lunga del solito,
- le conseguenze gravi della mancanza di sonno,
- il dato di fatto che l'area del cervello, che governa il sonno, è la più antica, dimostrando che tutti gli animali di ogni specie hanno bisogno di dormire,
- la differenza negli schemi di sonno in diverse specie, il che suggerisce un adattamento evolutivo alle condizioni ambientali,
- gli studi sulla privazione del sonno, che hanno dimostrato alcuni effetti fisici di entrambi le fasi REM e NREM.
Interessante è, peraltro, notare come negli animali si dimostrino notevoli variazioni per modalità e quantità di sonno, da due ore il giorno per le giraffe a venti per i pipistrelli. In generale, si riduce il tempo di sonno necessario, proporzionalmente al crescere della dimensione del corpo. I gatti sono una delle poche specie di animali che non hanno la maggior parte del loro sonno consolidata in un'unica sessione, preferendo, infatti, di distribuirlo in modo omogeneo per tutto l’arco della giornata. I mammiferi d'acqua, poi, tendono a dormire ad emisferi alterni del loro cervello, con uno che dorme e l'altro che rimane sveglio. Usano tale tecnica per poter respirare di continuo al di sopra dell'acqua e non affogare, non potendosi, quindi, addormentare per lunghi periodi. Essi, difatti, dormono per pochi secondi alla volta, come il delfino dell'India, o consentono solo a metà del proprio cervello di dormire in un dato momento, come il tursiope. Gli uccelli migratori sembrano anche seguire qusta modalità del dormire. Anche i pesci e i moscerini della frutta sembrano avere uno stato simile al sonno dei mammiferi. Questa alternanza di stato simile al sonno e la sua assenza è indicato come BRAC (Basic Rest and Activity Cycle). Dato che la moderna definizione del sonno si basa sui criteri EEG e, siccome un piccolo cervello impedisce la registrazione, tale condizione non può tecnicamente essere definita come sonno. Tuttavia, se i moscerini della frutta sono ripetutamente disturbati in modo che non possano riposare, mostrano quello che viene definito un rest rebound. Questo comportamento è sorprendentemente simile a quello presentato dai mammiferi e dagli uccelli, posti in condizioni simili. Inoltre, molti animali vanno in letargo durante l'inverno, condizione simile al sonno per conservare il calore del corpo e l’energia. Così pure, in contrapposizione all’ibernazione, altri animali presentano l’estivazione, andando in letargo per sfuggire al caldo dell'estate. I bovini, gli equini e gli ovini sono particolari, in quanto possono dormire in piedi, anche se per i bovini e gli ovini il sonno REM non si verificherebbe in tale posizione. Difatti, per il sonno REM gli animali devono essere sdraiati, poiché, dormendo in piedi, il sonno è solo parziale. Tuttavia, gli uccelli possono avere periodi di sonno REM, mentre sono appollaiati. In conclusione, anche se non è possibile definire un vero sonno, rettili, anfibi, pesci e insetti hanno cicli di inattività, rispondendo alle necessità della teoria del reintegro energetico-metabolico. Peraltro, anche nelle meduse, uno dei più semplici organismi pluricellulari con un sistema nervoso costituito da un assemblamento di pochi neuroni senza un organo cerebrale di per sé ma con sistema visivo complesso, si è dimostrata una quiescenza di circa 15 ore il giorno, secondo un modello diurno. Esse sono attive da sei a quindici ore durante il giorno, spostandosi 212 metri l’ora con la luce e dieci con l’oscurità della notte. Infine, secondo la teoria del consolidamento dell'informazione, che si basa su ricerche cognitive, le persone dormono al fine di elaborare le informazioni che sono state acquisite durante il giorno. Oltre alle informazioni di trasformazione dal giorno precedente, questa teoria sostiene, anche, che il sonno permette al cervello di prepararsi per il giorno a venire. Alcune ricerche suggeriscono, peraltro, che il sonno aiuta a consolidare ciò che abbiamo imparato durante la giornata, in memoria a lungo termine.
Il supporto a tale ipotesi nasce da una serie di casi di privazione del sonno, studiati per dimostrare che la mancanza di sonno determina un grave impatto sulla capacità di richiamare e ricordare le informazioni acquisite.
A tale proposito, Smith C. nel 1996 dimostrò che ratti, addestrati in un labirinto, dopo otto ore di attività con privazione di sonno REM, riducevano le prestazioni, rispetto ai controlli (Behav Brain Res 1996 78, 49-56). P. Leconte, E. Hennevin e V. Bloch dimostrarono che la velocità di esecuzione di un compito complesso dei ratti nel labirinto era legata al tempo trascorso in sonno REM. (Behavioural Brain Research 1995, 69, 1-2, 125-135).
In conformità a tale teoria gli studiosi dell’Est europeo hanno svolto i loro studi sull’ipnoterapia e C Smith e L Lapp dimostrarono che gli studenti universitari passavano più tempo in REM durante il periodo degli esami (Sleep 1991, 14, 325-330).
Altri autori si sono maggiormente e più particolareggiatamente soffermati sull’argomento. Hartman E.L. affermò che il sonno REM era un momento per ricompensare i neurotrasmettitori, utilizzati durante il giorno (New Haven, CT: Yale University Press). Stern, W. C. e Morgane PJ pensarono che il sonno REM permettesse al cervello di ripristinare i livelli dei neurotrasmettitori a '' impostazioni di origine” (Adv Sleep Res 197,41:1–131). Oswald I. ipotizzò che il sonno non-REM restaurasse il corpo, mentre il sonno REM ripristinasse il cervello, attraverso la sintesi proteica (Sleep 1980, Prog Brain Res 53,279-288). Secondo sempre tale Autore il sonno Slow Wave Sleep (SWS) avrebbe avuto il compito di aiutare il corpo stesso al recupero. Crick F. e Mitchison G. paragonarono il processo del sognare a un computer che era "off-line" durante il sogno o la fase REM del sonno (Nature, 1983,304:111-114). Durante questa fase, il cervello avrebbe dovuto decantare le informazioni raccolte durante il giorno, eliminando tutto il materiale indesiderato. Secondo tale modello, noi sogneremmo per dimenticare, secondo un processo di 'apprendimento inverso' o del 'disimparare'. Durante il sonno REM, i ricordi non desiderati verrebbero, così, eliminati, rendendo, più facile l’accesso ai ricordi più importanti. Horne J. A. nel 1988 nel suo testo “Why We Sleep: The Functions of Sleep in Humans and Other Animals. Oxford: Oxford University Press” fece distinzione tra il core del sonno (SWS & REM) e quello facoltativo (stadi 1-3). Stickgold R. nel 2005 concluse che il sonno REM era importante per consolidare la memoria procedurale, come il guidare una macchina, e il SWS fondamentale per il consolidamento della memoria semantica (conoscenze e significati) e la memoria episodica (eventi) (Nature. 2005 Oct 27;437(7063):1272-8).
Uno studio condotto da Gumustekin K. e coll. del Department of Physiology, Medical School, Ataturk University, Erzurum, Turkey [Int J Neurosci 2004;114(11): 1433-42.] nel 2004 ha dimostrato che la privazione di sonno e la nicotina ritardavano la guarigione delle ferite, mentre la supplementazione di selenio la accelerava.
Zager A. e coll. del Department of Psychobiology, Universidade Federal de Sa˜o Paulo, Brazil (Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 2007 293, R504-R509), sulla base che il sonno è essenziale per il corretto funzionamento di un gran numero di sistemi di difesa e che la sua privazione è riconosciuta condizione sempre più comune nella società moderna con danno a certi sistemi fisiologici, come la funzione immunitaria, hanno voluto indagare come la paradossa privazione del sonno per ventiquattro e novantasei ore e la sua restrizione per ventuno giorni e i rispettivi periodi di recupero di ventiquattro ore potessero incidere sull’attivazione immunitaria dei ratti. Le alterazioni, riscontrate durante la privazione del sonno, suggerivano, durante l’acuta privazione paradossa del sonno, solo lievi alterazioni dei parametri aspecifici immunitari, mentre, durante la restrizione cronica, un considerevole deterioramento nella risposta cellulare. Questi dati permetterebbero di affermare che da una parte la perdita di sonno altera la funzione immunitaria e che dall’altra le minacce immunitarie peggiorerebbero il sonno. Suggerirebbero anche che i mammiferi, dormendo più a lungo, investono sul sistema immunitario, in quanto si è dimostrata anche una più elevata conta di cellule bianche del sangue (Opp, Mark R. January 2009BMC Evolutionary Biology (BioMed Central Ltd.) 9 (8): 1471–2148).
D’altro canto, Jenni O. G. e coll. (Pediatrics, 2007 120, e769-e776) hanno registrato una crescita in peso e altezza, correlata al tempo passato a letto, in 305 bambini dagli uno ai dieci anni di età per un periodo di nove anni, costatando un’assenza di effetto sulla crescita in rapporto alle differenze di durata del sonno, sulla base della dimostrata influenza che il sonno, e più specificamente quello a onde lente (SWS), ha sui livelli dell'ormone della crescita negli adulti. Difatti, Van Cauter E., Leproult R., e Plat L. (American Medical Association, 2000,284, 861-868) hanno dimostrato che negli uomini, con alte percentuali di SWS (in media il 24%), corrispondono alte secrezioni di ormone della crescita, mentre esse sono basse in quelli con le percentuali poco elevate (media del 9%).
Peraltro, il sonno corrisponde alla fase anabolizzante del metabolismo e alla secrezione preferenziale degli ormoni anabolizzanti, oltre di quello della crescita. Da notare che la durata del sonno nelle specie animali si riscontra, in generale, inversamente proporzionale alla loro dimensione e direttamente collegata con il loro metabolismo basale. Il sonno dei ratti, a elevato metabolismo basale, dura, difatti, un massimo di quattordici ore il giorno, mentre quello degli elefanti e giraffe, con minore BMR (Basal Metabolic Rate), solo 3-4. Il sonno non-REM può rappresentare, in effetti, uno stato anabolico, contrassegnato da processi fisiologici di crescita e di ringiovanimento dell'organismo a carico del sistema nervoso, del sistema muscolo-scheletrico e del sistema immunitario. Lo stato di veglia può, invece, essere considerato come uno stato iperattivo, catabolico, ciclico, temporaneo, durante il quale l'organismo si può più agevolmente procurare nutrimento e si può riprodurre. Il sonno REM, presente in modo preponderante nei bambini, sembra, peraltro, essere importante per lo sviluppo del cervello. Da notare, anche, che nelle diverse specie si osserva che il tempo, speso dal neonato nel sonno REM, varia proporzionalmente alla sua immaturità.
Inoltre, vi sono numerose dimostrazioni che connettono il sonno alla memoria. Turner, T.H., Drummond, S. P. A. e coll. del San Diego State University, USA, hanno dimostrato, difatti, che la deprivazione di sonno compromette la memoria (Neuropsychology, 2007, 21, 787-795). E la memoria del lavoro è importante perché mantiene attive le informazioni per la sua evoluzione e supporta le funzioni cognitive di livello superiore, come il processo decisionale, il ragionamento e la memoria episodica. In definitiva, il meccanismo fisiologico del sonno è complesso e coinvolge tutto il sistema nervoso centrale, in particolare la sostanza reticolare del tronco encefalico (ponte e mesencefalo), sede d’interrelazioni inibitorie o eccitatorie con i centri superiori diencefalici, che determinano l'alternanza sonno-veglia. Si ritiene, infatti, che il sonno abbia una funzione rigenerativa sulle sinapsi corticali, essenzialmente legate all'apprendimento.