Il Kyoto Hearth Study
Hiroaki Matsubara e coll. della Kyoto Prefectural University School of Medicine hanno condotto il KYOTO HEART study, durato dal gennaio 2004 al gennaio 2009, coinvolgendo 3.031 pazienti giapponesi (nel 43% donne di età media di 66 anni), trattati per ipertensione non controllata con PAS ≥ 140 mm Hg e/o PAD ≥ 90 mmHg e per ≥ 1 fattore di rischio addizionale (Heart J. 2009 Oct;30(20):2461-9). A seguito di uno studio PROBE (prospective, randomized, open label, blinded endpoint), i pazienti hanno ricevuto valsartan 40-80 mg/die, titolato a 100-160 mg, se necessario per raggiungere la pressione sanguigna target (<140/90 mmHg o <130/80 mmHg nei diabetici o con malattia renale).
Lo studio è stato interrotto precocemente dopo un follow-up mediano di 3,27 anni, a causa di un inequivocabile vantaggio registrato con valsartan. Durante questo tempo la pressione sanguigna si è abbassata mediamente da 157/88 mm Hg a 133/76 mm Hg.
Rispetto al trattamento non ARB, il valsartan si è associato a una riduzione del 45% dell'end-point primario dello studio, un composito di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari (83 vs 155; hazard ratio [HR], 0,55, intervallo di confidenza 95% [IC], 0,42-0,72, P = .00001). Questa differenza è risultata principalmente attribuibile a una riduzione del 49% per l'angina pectoris (P = .01 vs non-ARB) e una riduzione del 45% per l’ictus/attacco ischemico transitorio (TIA) (P <.05 vs non-ARB), mentre non ci sono state differenze significative per l’infarto acuto del miocardio (IMA), l’insufficienza cardiaca, la dissezione aortica e le componenti di altri end-point o per tutte le cause di mortalità cardiovascolare o mortalità. Inoltre, l'incidenza di diabete di nuova insorgenza era significativamente inferiore con valsartan (p = .0282). Matsubara e colleghi hanno anche speculato sul fatto che il sistema renina-angiotensina ha un ruolo più importante nello sviluppo di angina che dell’IMA, in cui la rottura dell’ateroma e la trombosi sono determinanti importanti. Gli AA hanno anche suggerito che il valsartan si propone con il più alto grado di selettività per il recettore tipo 1 dell'angiotensina (AT1), rispetto agli altri ARB, risparmiando il recettore AT2 e, quindi, con maggiore protezione vascolare attraverso l'attivazione della bradichinina. Essi prendono, dunque, atto che, essendo il recettore AT2 espresso nelle lesioni aterosclerotiche, il trattamento con valsartan blocca in modo efficace l'ispessimento delle arterie coronarie e la fibrosi perivascolare.
Franz H. Messerli dello St. Luke’s Roosevelt Hospital and Columbia University, New York e coll., sulle premesse della letteratura:
- che i bloccanti del recettore dell'angiotensina (ARB) possono determinare un aumento dell’infarto del miocardio (Verma S: BMJ 2004;329:1248–1249),
- che nel “the blood pressure lowering treatment trialists collaboration” si era constatato il rischio di ictus, di coronaropatia e di scompenso con il trattamento antipertensivo con gli ACE inibitori e gli ARB (Turnbull F, J Hypertens 2007;25:951–958),
- che gli AA avevano messo in guardia, però, che solo per gli ACE-inibitori, ma non per sartani, c'era l’effetto sul rischio di gravi eventi coronarici,
- che l’ONTARGET aveva documentato il risultato pari in efficacia di un ARB ed un ACE-inibitore in una popolazione ad alto rischio, anche se c'era stato un andamento di prevenzione migliore nel braccio dell’ARB (telmisartan) ed una migliore prevenzione della malattia coronarica in quello dell’ACE-inibitore (ramipril) (Yusuf S, N Engl J Med 2008;358:1547–1559),
nell'analizzare questi studi e i più recenti con ARB, come il TRANSCEND, PRoFESS, CASE-J trial, HIJ-CREATE, JIKEI, KYOTO, hanno riscontrato in un database di 26 trial di sartani in 100.000 pazienti, randomizzati senza insufficienza cardiaca, una riduzione del 13% del rischio di stroke (P ¼ 0,022), ma una tendenza verso un maggiore rischio d’infarto del miocardio, soprattutto 16 nel confronto con i trattamenti attivi (P ¼ 0,06). Molto si è discusso sui risultati del TRANSCEND e del PRoFESS in cui il telmisartan, nonostante la diminuzione della pressione del sangue, non ha ridotto gli eventi cardiovascolari meglio del placebo (Messerli F.H. Eur Heart J 2009 30:2427-2430).
Ma, a tal proposito, vale considerare che la maggioranza dei pazienti in entrambi questi studi era stata pre-trattata con un bloccante del sistema renina-angiotensina (RAS) per cui essi permetterebbero una valutazione più degli effetti della sospensione del blocco RAS, piuttosto che del suo inizio. Ma anche altri trial con ACE-inibitori, come QUIET, 0 PEACE, PROGRESS, CAMELOT non hanno battuto il placebo, nonostante la riduzione significativa della pressione arteriosa. Nel KYOTO study, peraltro, non è stata segnalata alcuna significativa differenza di pressione tra i due bracci di trattamento, ricordando per certi versi il VALUE, ma ottenendo per un dato abbassamento di pressione del sangue una riduzione del 45% nell'end-point primario, rispetto al braccio non-ARB. Il beneficio si è determinato, soprattutto, per l’ictus e, un po’ sorprendentemente, per l’angina, mentre non per l’infarto miocardico, per l’insufficienza cardiaca e per tutte le cause mortalità. Si può ipotizzare, comunque, che gli asiatici possano essere particolarmente ricettivi agli effetti protettivi degli ARB, come si è dimostrato nel RENAAL, a parziale spiegazione delle differenze tra VALUE e KYOTO. Difatti, le malattie cerebrovascolari sono più diffuse delle coronariche negli asiatici, rispetto alle società occidentali. Risulta, peraltro, un po' difficile accettare che un ARB debba risultare migliore nel prevenire l'angina rispetto a un calcio-antagonista, come osservato in entrambi gli studi Kyoto Study e JIKEI-Heart Study. Da notare, però, che negli studi CASE-J e HIJ-CREATE, progettati in asiatici con candesartan, non si è ottenuta una riduzione della morbilità e la mortalità maggiore rispetto alla non-terapia con ARB, ponendo ipotesi sulla differenza di azione molecolare dei prodotti.