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Notiziario Maggio 2010 N°5

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Notiziario Maggio 2010 N°5
Definizione del sonno e suoi modelli antropologici
L'attività del cervello durante il sonno
Le funzioni del sonno
Il ciclo del sonno
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NOTIZIARIO Maggio 2010 N°5

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena


SONNO E SALUTE

I° parte: il sonno normale

Susanna Di Lascio
Psicologa
swanyba@gmail.com

DEFINIZIONE DEL SONNO E SUOI MODELLI ANTROPOLOGICI

Gli esseri umani trascorrono circa un terzo della loro vita dormendo, più tempo di quanto spendono per ogni altra attività. In altre parole, dormono per circa 122 giorni l'anno e un 75enne spende, dormendo, durante la sua vita un totale di circa venticinque anni.
Il sonno è il perfetto esempio di un ritmo ultradiano, cioè quello che si ripete in un periodo inferiore alle ventiquattro ore e dura, in genere, circa novanta minuti, per ripetersi quattro o cinque volte durante una notte. Esso, comunque, è definito sulla base delle osservazioni del comportamento individuale e delle sue attività fisiologiche e neurologiche. Dal punto di vista comportamentale, difatti, si presenta come uno stato di ridotta reattività e interazione con gli stimoli esterni. Pur tuttavia, sotto una prospettiva biologica, rappresenta un periodo fisiologico intenso con un forte carico di attività neurologiche.

imageGli studi antropologici suggeriscono che i modelli del sonno variano in modo significativo tra le differenti culture del pianeta. Le differenze più marcate si riscontrano tra le società che dispongono di fonti abbondanti di luce artificiale e tra quelle che non ne dispongono. Ad esempio, la gente potrebbe andare a dormire molto presto, dopo il tramonto, per poi svegliarsi più volte durante la notte, frammentando il sonno con periodi di veglia, magari della durata di diverse ore. I confini tra il sonno e la veglia si confondono in queste società e nelle corrispondenti abitudini alcuni osservatori ritengono che il sonno sia spesso diviso in due periodi principali, il primo caratterizzato principalmente da un sonno profondo e il secondo da sonno REM. Peraltro, alcune realtà di vita presentano un modello di frammentazione del sonno per cui si dorme in ogni momento del giorno e della notte per brevi periodi e in molti gruppi nomadi o di cacciatori-raccoglitori, si dorme all’aperto tutto il giorno o la notte, secondo le circostanze.

L’ampia disponibilità di luce artificiale nell’occidente industrializzato, a partire almeno dalla metà del 19° secolo, ha condotto a modelli del dormire notevolmente diversi dai periodi precedenti. In genere, coloro che dormono in modo più concentrato per tutta la notte vanno a coricarsi molto più tardi. Peraltro, in alcune società gli individui, generalmente, dormono insieme con almeno un’altra persona, ma a volte con molte, o con animali. In altre culture, poi, raramente si dorme con una persona qualsiasi a caso, ma solo in virtù di intimità, come nel caso del coniuge. Di poi, si registra un’ampia varietà di posizioni nel dormire. Alcuni dormono direttamente sul terreno, altri su una pelle o una coperta, altri su una piattaforma o su letti di tipo occidentale e, ancora, alcuni con coperte e/o cuscini, altri con poggiatesta semplici, altri, invece, senza nessun supporto per la testa. Queste scelte si basano su una serie di fattori, quali il clima, la protezione dai predatori, il tipo di alloggio, la tecnologia e l'incidenza di parassiti.


L’ATTIVITÀ DEL CERVELLO DURANTE IL SONNO

A tal punto è interessante premettere che il cervello, come organo metabolicamente più attivo del nostro organismo,:

 

  • costituisce il 2% del nostro peso corporeo,
  • esaurisce il 20% del totale nostro consumo di ossigeno a riposo,
  • ha un tasso metabolico globale per l'ossigeno simile a quello cardiaco o della corteccia renale non stressati,
  • dimostra variabilità di livello di attivazione regionale.

Inoltre, il cervello, che dipende strettamente dall’ossigeno e dal glucosio del momento,:

  • non ha riserve significative di questi elementi,
  • ha un flusso sanguigno auto-regolato sulla base della domanda loco-regionale,
  • presenta una captazione di glucosio non insulino-dipendente.

Ancora bisogna ricordare che la sua attività dipende dalla temperatura e:

  • tra i 37° e i 42° C, il tasso del suo metabolismo aumenta del 5% per ogni grado in più.

Infine, l’assorbimento di ossigeno e di glucosio è un’attivazione cerebrale loco-regionale dipendente con:

  • utilizzo loco-regionale dipendente,
  • autoregolazione locale.

Fino al 1930 non vi è stato alcun modo e strumento scientifico e obiettivo per misurare il comportamento del cervello durante il sonno e, solo dopo l'invenzione dell’elettroencefalografo con relativo EEG, è stato possibile registrarne la sua attività elettrica. Ogni giorno è noto che il sonno normale si compone di due forme diverse: quella dei movimenti oculari rapidi (REM) o "stato di sogno" e quella del movimento degli occhi non rapidi (NREM), che occupa circa il 75% del sonno e può essere descritta come quella di un cervello inattivo in un corpo mobile, mentre il sonno REM può essere descritto come un cervello attivo all'interno di un corpo immobile.
Peraltro, nella regolazione del sonno e dell’insonnia sono implicati due processi primari: il ritmo circadiano endogeno e il processo omeostatico. Il primo, cioè il ritmo circadiano, funziona come un orologio biologico del tempo, secondo un processo interno che dirige l’avvicendarsi dei periodi e della durata giornaliera dei cicli sonno-veglia. Il secondo, cioè il processo omeostatico, indipendente dal primo, regola la lunghezza e la profondità del sonno, regolando i tempi, la durata e la qualità del precedente periodo di sonno dell’individuo. Nel 1937 Alfred Lee Loomis e i suoi collaboratori scoprirono che, durante il sonno, le onde, generate dal cervello, divenivano lente e più grandi, scendendo di frequenza al crescere della loro lunghezza (Sci Mon 1937; 45(2): 191-192.). Quindi, sulla base dei reperti elettroencefalografici (EEG), definirono le caratteristiche del sonno, che rappresentavano lo spettro dalla veglia al sonno profondo, in cinque livelli (da A a E), (J Exp Psychol. 1937, 21: 127–44). Nel 1952 Aserinsky E., collocando gli elettrodi dello strumento elettroencefalografico vicino agli occhi del figlio Armond di otto anni, mentre dormiva, notò esplosioni di attività elettrica a intervalli regolari e nel 1953, insieme a Kleitman, coniò l'espressione REM dei 'Rapid Eye Movements' (Science 1953, 118: 273–274). Di poi, scoperto il sonno REM, come entità ben distinta, William Dement e Nathaniel Kleitman fornirono una riclassificazione del sonno in quattro fasi non-REM e REM (Electroencephalogr Clin Neurophysiol 1957, 9 (4): 673–90.). Nel 1957 sempre Dement e Kleitman, resisi conto che doveva esserci un legame tra il sonno REM e il sogno, testando cinque soggetti svegliati per cinque o quindici minuti nei periodi di sonno REM, potettero dimostrare la relazione tra sogno e la sua espansione con il periodo REM (J Exp Psychol. 1957;53:339–46). Nel 1968, Rechtschaffen e Kales registrarono altre quattro distinte fasi del sonno, standardizzando in un manuale di terminologia e tecniche un sistema di punteggio per le fasi del sonno dei soggetti umani, definendo, così, differenti attività del cervello che, prima del 1930, non erano state per niente ipotizzate (Rechtschaffen A, Kales A, editors. Los Angeles: Brain Information Service/Brain Research Institute, University of California; 1968. A manual of standardized terminology, techniques and scoring system of sleep stages in human subjects).
Nel 2004, l’AASM (American Academy of Sleep Medicine), infine, ha fornito una revisione con diversi cambiamenti, di cui il più significativo è stato la combinazione delle fasi tre e quattro in uno stadio N3. Il riesame è stato pubblicato nel 2007, come manuale AASM, con il punteggio del sonno e degli eventi associati, caratteristiche comunemente valutate dalla polisonnografia nei laboratori specializzati.

imageLe misurazioni effettuate in questo esame comprendono l’EEG delle onde cerebrali, l’elettroculografia (EOG) dei movimenti oculari e l'elettromiografia (EMG) dell’attività dei muscoli scheletrici. Così si è potuto definire che nell’uomo ogni ciclo di sonno dura in media 90-110 minuti e ogni fase può avere una fisiologia ben distinta. Si sono evidenziate, con lo studio dell’elettroencefalogramma, fasi alternate di sonno lento o sincronizzato, più lunghe e con periodici movimenti, e sonno paradosso o desincronizzato, con totale rilassamento muscolare ma irregolare attività cerebrale e movimenti rapidi dell'occhio. È in questa fase, detta anche REM, che avviene l'attività onirica. Sonno e sogno sono, in effetti, parte integrante della nostra vita quotidiana.

  • Ma quanto sappiamo veramente di loro?
  • Perché abbiamo bisogno di dormire?
  • È ragionevole attribuire un significato ai nostri sogni?
  • Ma essi hanno sempre un significato?
  • E quali sono le differenti prospettive culturali sui sogni?

LE FUNZIONI DEL SONNO

È stato evidenziato che se il sonno non fosse indispensabile, la biologia dovrebbe offrire l’esempio, non presente in natura, di:

  • specie animali che non dormono per niente,
  • animali che non hanno bisogno di recupero di sonno dopo essere stati svegli più a lungo del solito,
  • animali senza conseguenze gravi a causa della mancanza di sonno.

Invece dobbiamo prendere atto che:

  • il sonno è importante per tutti gli animali,
  • il sonno non è un attributo speciale di ordine superiore, caratteristico della funzione umana,
  • anche se necessario, non necessariamente deve corrispondere a grandi quantità,
  • non v’è nessuna correlazione tra la quantità di sonno e le dimensioni degli animali, il loro livello di attività, la loro temperatura corporea.

Pur tuttavia, anche dopo i numerosi studi fino ad oggi effettuati, le teorie, proposte per spiegare la funzione del sonno, sono ancora incomplete. La teoria del doppio processo della sua regolazione si basa sul principio di una funzione sia restaurativa sia conservativa, considerando che il metabolismo generale e cerebrale, nello stato di attività, comportano alti consumi di energia con perdita di glicogeno e di ATP (adenosintrifosfato), cui si correla innalzamento della temperatura corporea. Nel sonno Non REM, invece, s’instaura una riduzione dei consumi, con reintegro di ATP e glicogeno e abbassamento della temperatura. Nel sonno REM, con maggiore complessità, i consumi metabolici aumentati non si associano, però, a crescite della temperatura.
Secondo una prima ipotesi, quindi, detta teoria del restauro, conosciuta anche come del recupero o della restituzione, il sonno è essenziale per il rilancio e il ripristino dei processi fisiologici, che mantengono il corpo e la mente sana e ben funzionante. In effetti, l’omeostasi si sgretola come stabilità dell'ambiente interno di un organismo nello stato di veglia e il sonno interviene come riparatore per ripristinarla.
In rapporto a tale teoria sono stati proposti tre meccanismi principali:

  • la necessità di eliminare una sostanza esaurita, che si accumula nel corpo durante l'attività,
  • la necessità di effettuare un processo essenziale di sintesi chimica, che è inefficace o impossibile durante la veglia,
  • il bisogno di consentire il recupero di componenti o percorsi neurali, sfiancati durante la veglia.

Consequenziale a tali premesse ne deriva che la privazione del sonno deve produrre effetti nocivi, come peraltro sperimentato.
Ma quali e quanti sono gli squilibri interni e con quali modalità e mezzi il buon dormire ripristina l'equilibrio?
A tale quesito mancano ancora risposte esaurienti e scientificamente provate.
Questa teoria suggerisce, peraltro, che la fase NREM è importante per questo recupero fisico, organico, metabolico, mentre quella REM è fondamentale per quello delle funzioni mentali.
Da notare che il supporto a essa deriva da una dimostrazione scientifica, secondo la quale i periodi di aumento del sonno REM seguono ai periodi di privazione del sonno e d’intensa attività fisica. Peraltro, durante il sonno, aumenta anche il tasso di divisione cellulare e la sintesi delle proteine, a conferma della teoria stessa. Inoltre, il tempo totale di sonno aumenta durante le malattie e quello REM aumenta durante il recupero da lesione cerebrale, elettroshockterapia e sindrome da astinenza.
Confortano tale teoria gli studi di CM Shapiro e collaboratori del 1981, che hanno rilevato nei maratoneti un sonno di un’ora e mezzo più lungo del normale nelle due notti seguenti la gara di circa novantadue chilometri, con un allungamento del periodo SWS (Phys. Rev. B 24, 6661–6674-1981). Peraltro, i neonati trascorrono la maggior parte del loro tempo nel sonno REM. D’altro canto, J. A. Horne e A. Minard nel 1985 hanno dimostrato, come prova contraddittoria, che, quando i soggetti di studio erano sottoposti a un certo numero di compiti estenuanti, essi dormivano più velocemente, ma non più a lungo (Ergonomics. 1985 Mar;28(3):567–575).
In contrasto con la teoria di recupero, quella evolutiva, propugnta da Meddis R. (1979 - The evolution and function of sleep. In: D.A. Oakley and H.C. Plotkin (eds) Brain, Behaviour and Evolution, London: Methuen), conosciuta anche come la teoria adattativa del sonno, propone che esso si sia evoluto come una risposta di adattamento al ciclo giorno/notte, non come una risposta a qualche segnale interno fisiologico. Tale dato è legato direttamente alla sopravvivenza di Darwin della 'teoria del più forte'. Difatti, tutte le proprietà in nostro possesso costituiscono il risultato di ciò che è stato utile nel passato, per cui si dorme perché è utile per la nostra sopravvivenza o lo era un tempo. Essa suggerisce, difatti, che i periodi di attività e inattività si sono evoluti come strumento per conservare energia, quando la raccolta di cibo è stata completa o più difficile e, anche, per evitare il pericolo di predatori notturni o incidenti, rimanendo immobile. Pertanto, tutte le specie si sono adattate a dormire per i periodi in cui lo stato di veglia sarebbe più pericoloso. Il supporto a essa deriva dalla ricerca comparativa nelle diverse specie animali. Difatti, gli animali, fondamentalmente predatori, come orsi e leoni, dormono spesso tra le 12-15 ore ogni giorno. Invece, gli animali, che hanno molti predatori naturali, dimostrano solo brevi periodi di sonno, di solito sempre corrispondente a non più di quattro o cinque ore ogni giorno.
Quindi, è probabile che il sonno si sia evoluto per soddisfare, per molteplici necessità, una certa funzione primordiale, ancestrale. Di certo, confortano tale tesi:

  • l'assenza in natura di specie animali che non dormono per niente,
  • la necessità di sonno, come recupero di una condizione di veglia più lunga del solito,
  • le conseguenze gravi della mancanza di sonno,
  • il dato di fatto che l'area del cervello, che governa il sonno, è la più antica, dimostrando che tutti gli animali di ogni specie hanno bisogno di dormire,
  • la differenza negli schemi di sonno in diverse specie, il che suggerisce un adattamento evolutivo alle condizioni ambientali,
  • gli studi sulla privazione del sonno, che hanno dimostrato alcuni effetti fisici di entrambi le fasi REM e NREM.

imageInteressante è, peraltro, notare come negli animali si dimostrino notevoli variazioni per modalità e quantità di sonno, da due ore il giorno per le giraffe a venti per i pipistrelli. In generale, si riduce il tempo di sonno necessario, proporzionalmente al crescere della dimensione del corpo. I gatti sono una delle poche specie di animali che non hanno la maggior parte del loro sonno consolidata in un'unica sessione, preferendo, infatti, di distribuirlo in modo omogeneo per tutto l’arco della giornata. I mammiferi d'acqua, poi, tendono a dormire ad emisferi alterni del loro cervello, con uno che dorme e l'altro che rimane sveglio. Usano tale tecnica per poter respirare di continuo al di sopra dell'acqua e non affogare, non potendosi, quindi, addormentare per lunghi periodi. Essi, difatti, dormono per pochi secondi alla volta, come il delfino dell'India, o consentono solo a metà del proprio cervello di dormire in un dato momento, come il tursiope. Gli uccelli migratori sembrano anche seguire qusta modalità del dormire. Anche i pesci e i moscerini della frutta sembrano avere uno stato simile al sonno dei mammiferi. Questa alternanza di stato simile al sonno e la sua assenza è indicato come BRAC (Basic Rest and Activity Cycle). Dato che la moderna definizione del sonno si basa sui criteri EEG e, siccome un piccolo cervello impedisce la registrazione, tale condizione non può tecnicamente essere definita come sonno. Tuttavia, se i moscerini della frutta sono ripetutamente disturbati in modo che non possano riposare, mostrano quello che viene definito un rest rebound. Questo comportamento è sorprendentemente simile a quello presentato dai mammiferi e dagli uccelli, posti in condizioni simili. Inoltre, molti animali vanno in letargo durante l'inverno, condizione simile al sonno per conservare il calore del corpo e l’energia. Così pure, in contrapposizione all’ibernazione, altri animali presentano l’estivazione, andando in letargo per sfuggire al caldo dell'estate. I bovini, gli equini e gli ovini sono particolari, in quanto possono dormire in piedi, anche se per i bovini e gli ovini il sonno REM non si verificherebbe in tale posizione. Difatti, per il sonno REM gli animali devono essere sdraiati, poiché, dormendo in piedi, il sonno è solo parziale. Tuttavia, gli uccelli possono avere periodi di sonno REM, mentre sono appollaiati. In conclusione, anche se non è possibile definire un vero sonno, rettili, anfibi, pesci e insetti hanno cicli di inattività, rispondendo alle necessità della teoria del reintegro energetico-metabolico. Peraltro, anche nelle meduse, uno dei più semplici organismi pluricellulari con un sistema nervoso costituito da un assemblamento di pochi neuroni senza un organo cerebrale di per sé ma con sistema visivo complesso, si è dimostrata una quiescenza di circa 15 ore il giorno, secondo un modello diurno. Esse sono attive da sei a quindici ore durante il giorno, spostandosi 212 metri l’ora con la luce e dieci con l’oscurità della notte. Infine, secondo la teoria del consolidamento dell'informazione, che si basa su ricerche cognitive, le persone dormono al fine di elaborare le informazioni che sono state acquisite durante il giorno. Oltre alle informazioni di trasformazione dal giorno precedente, questa teoria sostiene, anche, che il sonno permette al cervello di prepararsi per il giorno a venire. Alcune ricerche suggeriscono, peraltro, che il sonno aiuta a consolidare ciò che abbiamo imparato durante la giornata, in memoria a lungo termine.
Il supporto a tale ipotesi nasce da una serie di casi di privazione del sonno, studiati per dimostrare che la mancanza di sonno determina un grave impatto sulla capacità di richiamare e ricordare le informazioni acquisite.
A tale proposito, Smith C. nel 1996 dimostrò che ratti, addestrati in un labirinto, dopo otto ore di attività con privazione di sonno REM, riducevano le prestazioni, rispetto ai controlli (Behav Brain Res 1996 78, 49-56). P. Leconte, E. Hennevin e V. Bloch dimostrarono che la velocità di esecuzione di un compito complesso dei ratti nel labirinto era legata al tempo trascorso in sonno REM. (Behavioural Brain Research 1995, 69, 1-2, 125-135).
In conformità a tale teoria gli studiosi dell’Est europeo hanno svolto i loro studi sull’ipnoterapia e C Smith e L Lapp dimostrarono che gli studenti universitari passavano più tempo in REM durante il periodo degli esami (Sleep 1991, 14, 325-330).
Altri autori si sono maggiormente e più particolareggiatamente soffermati sull’argomento. Hartman E.L. affermò che il sonno REM era un momento per ricompensare i neurotrasmettitori, utilizzati durante il giorno (New Haven, CT: Yale University Press). Stern, W. C. e Morgane PJ pensarono che il sonno REM permettesse al cervello di ripristinare i livelli dei neurotrasmettitori a '' impostazioni di origine” (Adv Sleep Res 197,41:1–131). Oswald I. ipotizzò che il sonno non-REM restaurasse il corpo, mentre il sonno REM ripristinasse il cervello, attraverso la sintesi proteica (Sleep 1980, Prog Brain Res 53,279-288). Secondo sempre tale Autore il sonno Slow Wave Sleep (SWS) avrebbe avuto il compito di aiutare il corpo stesso al recupero. Crick F. e Mitchison G. paragonarono il processo del sognare a un computer che era "off-line" durante il sogno o la fase REM del sonno (Nature, 1983,304:111-114). Durante questa fase, il cervello avrebbe dovuto decantare le informazioni raccolte durante il giorno, eliminando tutto il materiale indesiderato. Secondo tale modello, noi sogneremmo per dimenticare, secondo un processo di 'apprendimento inverso' o del 'disimparare'. Durante il sonno REM, i ricordi non desiderati verrebbero, così, eliminati, rendendo, più facile l’accesso ai ricordi più importanti. Horne J. A. nel 1988 nel suo testo “Why We Sleep: The Functions of Sleep in Humans and Other Animals. Oxford: Oxford University Press” fece distinzione tra il core del sonno (SWS & REM) e quello facoltativo (stadi 1-3). Stickgold R. nel 2005 concluse che il sonno REM era importante per consolidare la memoria procedurale, come il guidare una macchina, e il SWS fondamentale per il consolidamento della memoria semantica (conoscenze e significati) e la memoria episodica (eventi) (Nature. 2005 Oct 27;437(7063):1272-8).

Uno studio condotto da Gumustekin K. e coll. del Department of Physiology, Medical School, Ataturk University, Erzurum, Turkey [Int J Neurosci 2004;114(11): 1433-42.] nel 2004 ha dimostrato che la privazione di sonno e la nicotina ritardavano la guarigione delle ferite, mentre la supplementazione di selenio la accelerava.
Zager A. e coll. del Department of Psychobiology, Universidade Federal de Sa˜o Paulo, Brazil (Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 2007 293, R504-R509), sulla base che il sonno è essenziale per il corretto funzionamento di un gran numero di sistemi di difesa e che la sua privazione è riconosciuta condizione sempre più comune nella società moderna con danno a certi sistemi fisiologici, come la funzione immunitaria, hanno voluto indagare come la paradossa privazione del sonno per ventiquattro e novantasei ore e la sua restrizione per ventuno giorni e i rispettivi periodi di recupero di ventiquattro ore potessero incidere sull’attivazione immunitaria dei ratti. Le alterazioni, riscontrate durante la privazione del sonno, suggerivano, durante l’acuta privazione paradossa del sonno, solo lievi alterazioni dei parametri aspecifici immunitari, mentre, durante la restrizione cronica, un considerevole deterioramento nella risposta cellulare. Questi dati permetterebbero di affermare che da una parte la perdita di sonno altera la funzione immunitaria e che dall’altra le minacce immunitarie peggiorerebbero il sonno. Suggerirebbero anche che i mammiferi, dormendo più a lungo, investono sul sistema immunitario, in quanto si è dimostrata anche una più elevata conta di cellule bianche del sangue (Opp, Mark R. January 2009BMC Evolutionary Biology (BioMed Central Ltd.) 9 (8): 1471–2148).

D’altro canto, Jenni O. G. e coll. (Pediatrics, 2007 120, e769-e776) hanno registrato una crescita in peso e altezza, correlata al tempo passato a letto, in 305 bambini dagli uno ai dieci anni di età per un periodo di nove anni, costatando un’assenza di effetto sulla crescita in rapporto alle differenze di durata del sonno, sulla base della dimostrata influenza che il sonno, e più specificamente quello a onde lente (SWS), ha sui livelli dell'ormone della crescita negli adulti. Difatti, Van Cauter E., Leproult R., e Plat L. (American Medical Association, 2000,284, 861-868) hanno dimostrato che negli uomini, con alte percentuali di SWS (in media il 24%), corrispondono alte secrezioni di ormone della crescita, mentre esse sono basse in quelli con le percentuali poco elevate (media del 9%).

Peraltro, il sonno corrisponde alla fase anabolizzante del metabolismo e alla secrezione preferenziale degli ormoni anabolizzanti, oltre di quello della crescita. Da notare che la durata del sonno nelle specie animali si riscontra, in generale, inversamente proporzionale alla loro dimensione e direttamente collegata con il loro metabolismo basale. Il sonno dei ratti, a elevato metabolismo basale, dura, difatti, un massimo di quattordici ore il giorno, mentre quello degli elefanti e giraffe, con minore BMR (Basal Metabolic Rate), solo 3-4. Il sonno non-REM può rappresentare, in effetti, uno stato anabolico, contrassegnato da processi fisiologici di crescita e di ringiovanimento dell'organismo a carico del sistema nervoso, del sistema muscolo-scheletrico e del sistema immunitario. Lo stato di veglia può, invece, essere considerato come uno stato iperattivo, catabolico, ciclico, temporaneo, durante il quale l'organismo si può più agevolmente procurare nutrimento e si può riprodurre. Il sonno REM, presente in modo preponderante nei bambini, sembra, peraltro, essere importante per lo sviluppo del cervello. Da notare, anche, che nelle diverse specie si osserva che il tempo, speso dal neonato nel sonno REM, varia proporzionalmente alla sua immaturità.

Inoltre, vi sono numerose dimostrazioni che connettono il sonno alla memoria. Turner, T.H., Drummond, S. P. A. e coll. del San Diego State University, USA, hanno dimostrato, difatti, che la deprivazione di sonno compromette la memoria (Neuropsychology, 2007, 21, 787-795). E la memoria del lavoro è importante perché mantiene attive le informazioni per la sua evoluzione e supporta le funzioni cognitive di livello superiore, come il processo decisionale, il ragionamento e la memoria episodica. In definitiva, il meccanismo fisiologico del sonno è complesso e coinvolge tutto il sistema nervoso centrale, in particolare la sostanza reticolare del tronco encefalico (ponte e mesencefalo), sede d’interrelazioni inibitorie o eccitatorie con i centri superiori diencefalici, che determinano l'alternanza sonno-veglia. Si ritiene, infatti, che il sonno abbia una funzione rigenerativa sulle sinapsi corticali, essenzialmente legate all'apprendimento.


IL CICLO DEL SONNO

Il sonno, comunque, è un'attività fisiologica naturale che viene compiuta quotidianamente dagli esseri viventi, ma che è ancora avvolta da un alone di mistero e di oscurità. Negli ultimi trenta anni, grazie allo sviluppo delle tecniche di polisonnografia, le conoscenze su quest’affascinante comportamento della vita biologica si sono notevolmente allargate, ma resta ancora un diffuso scetticismo sulla reale possibilità di decifrare nitidamente il linguaggio del cervello che dorme. Il ritmo circadiano del sonno è uno dei diversi ritmi del nostro organismo, modulati dall'ipotalamo. La prima nota sui ritmi biologici risale al 4° secolo a. C, quando Androstene, capitano di una nave al servizio di Alessandro Magno, descrisse i movimenti diurni delle foglie dell'albero di tamarindo. Lo scienziato francese Jean-Jacques d'Ortous de Mairan nel 1700 osservò, di poi in tempi moderni, l’oscillazione circadiana del movimento delle foglie della pianta Mimosa pudica, che continuava anche quando le piante erano state isolate dagli stimoli esterni. Nel 1918, J.S. Szymanski dimostrò negli animali la capacità di mantenere i modelli di attività delle 24 ore, in assenza di stimoli esterni, come la luce e le variazioni di temperatura. Il termine circadiano fu coniato da Franz Halberg alla fine del 1950 e Joseph Takahashi scoprì nel 1994 la base genetica del ritmo circadiano dei roditori.

imageL’orologio primario circadiano dei mammiferi è situato nel NSC (nucleo soprachiasmatico), gruppo di cellule dell'ipotalamo, controllato geneticamente, la cui distruzione comporta la completa assenza di un ritmo regolare sonno-veglia. Il NSC riceve l’informazione dell'illuminazione attraverso gli occhi, per mezzo della retina, che contiene non solo i classici fotorecettori utilizzati per la visione, ma anche le cellule gangliari fotosensibili, che rispondono alla luce. Queste cellule, ricche del foto pigmento melanopsina, mandano segnali secondo un percorso nel tratto retino-ipotalamico, che arriva al NSC. Se le cellule di questo nucleo vengono rimosse e messe in cultura, esse mantengono il loro ritmo, in assenza di stimoli esterni. Pertanto, il NSC riceve le informazioni sulla lunghezza del giorno e della notte dalla retina, le interpreta e le trasferisce alla ghiandola pineale, piccola struttura, a forma di pigna, situata sull’epitalamo. La pineale secerne la melatonina con picchi notturni, fornendo le informazioni sulla lunghezza della notte.image

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