Tracciati i mid-point contro l'età di ognuno, hanno rilevato che i bambini tendono a dormire sempre più tardi con l‟avanzare dell‟età fino ai 20 anni circa quando si verificava un brusco spostamento delle abitudini di sonno, tanto da suggerire tale dato come marker di passaggio all‟adolescenza. Il viraggio delle abitudini del sonno rifletteva anche la tendenza generale delle femmine che sviluppano prima rispetto ai maschi. Difatti, le ragazze dello studio segnavano questo dato all‟età di 19,5 anni, mentre i ragazzi lo raggiungevano più tardi fino ai 20,9 anni. Si concorda, difatti, che la pubertà finisce quando si ferma la crescita delle ossa a circa 16 anni nelle femmine e a 17,5 nei maschi, mentre la fine dell'adolescenza riveste un concetto molto meno definito, facendo parte della fisiologia e psicologia sociale. Il sonno, di poi, anticipava sempre più sino a stabilizzarsi e non mostrare differenze di genere intorno ai cinquanta anni. Gli AA. definivano, così, il cronotipo secondo le famose due immagini della civetta che va a dormire tardi e si alza tardi e dell‟allodola che va a dormire presto e si alza presto. Il tipo intermedio, per così dire borghese, chiamato da alcuni anche colibrì, rappresenta la maggioranza delle persone ed ha le tendenze sia dell‟allodola sia della civetta. Tuttavia, qualunque siano le abitudini nel dormire, poiché esseri umani, siamo programmati per funzionare al meglio durante il giorno. Il nostro corpo non è progettato per essere attivo durante la notte. Non abbiamo, ad esempio, la visione notturna e decisamente le ore notturne per noi sono sempre tempi morti. Tamm S. e collaboratori dell‟University of Alberta in un loro studio su diciotto persone, a metà mattinieri e nottambuli, hanno dimostrato che i primi si sentivano particolarmente vitali durante la mattinata, raggiungendo l‟acme di attività neurale intorno alle 9.00 della mattina. Registravano, di poi, una diminuzione brusca con un sistema nervoso meno reattivo agli stimoli e con i muscoli privi di gran parte del loro vigore. Nei secondi, invece, il cervello sembrava divenire sempre più vivace nel corso della giornata, raggiungendo l‟acme di attività alle 21.00 circa, in cui i muscoli risultavano più forti e più pronti a reagire agli stimoli (Journal of Biological Rhythms 2009; 24(3):211-24).
Tuttavia, non è il “τ” l‟unico fattore che influenza la fase, ma sono determinanti anche la sensibilità alla luce, o intensità dello zeitgeber, quando e per quanto tempo una persona è esposta a una determinata lunghezza d‟onda e intensità di luce, e l'ampiezza del pacemaker circadiano. Lo zeitgeber più importante, difatti, è la luce che fornisce il segnale fotico per giorno e notte ed anche per le stagioni. L'orologio circadiano master, come detto, è sito nello SCN (suprachiasmatic nuclei) ed è costituito da due sistemi oscillatori accoppiati che rispondono all'alba e al crepuscolo. Il cambiamento del fotoperiodo con le stagioni è mimato in molte specie dalle variazioni della durata dell'attività e di riposo (α:ρ).
In particolare, tre sono le fasi principali importanti per la funzione dell‟orologio biologico:
- l'ingresso (zeitgebers, retina),
- lo SCN (pacemaker circadiano) con i geni dell‟orologio e i neurotrasmettitori/peptidi,
- i risultati di uscita con la sintesi pineale della melatonina, la termoregolazione, ecc.
Questi fattori, quindi, interagiscono con l‟omeostato sonno-veglia per regolamentare, sempre in tempo, la propensione e l'architettura del sonno stesso, ma anche fenomeni diversi come l'umore e la sintesi e la produzione di ormoni.